L’attenzione dei principali media italiani nei confronti della crisi climatica è scarsa e sporadica, trascura il legame tra il riscaldamento del pianeta e gli eventi estremi come alluvioni e siccità che colpiscono sempre più duramente anche l’Italia, e omette le responsabilità delle aziende del gas e del petrolio nella più grave emergenza ambientale della nostra epoca. È quanto emerge dal primo rapporto annuale sull’informazione dei cambiamenti climatici nel nostro Paese, realizzato per Greenpeace Italia dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio ha esaminato da gennaio a dicembre 2022 come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e da un campione di programmi televisivi di approfondimento.
I risultati mostrano che il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani in cui si parla di crisi climatica si attesta intorno a una media di appena 2 articoli al giorno. I principali picchi di attenzione si sono registrati a luglio, in concomitanza con la terribile siccità estiva che ha colpito il Nord Italia, e a novembre, in occasione del summit sul clima di Sharm el Sheik (COP27) e della tragica alluvione che si è abbattuta sull’isola di Ischia.
L’analisi ha inoltre misurato lo spazio offerto dai quotidiani alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta. I risultati mostrano che, nel loro insieme, i cinque quotidiani hanno pubblicato una media di 2 pubblicità al giorno, evidenziando così la forte dipendenza della stampa italiana dai finanziamenti delle aziende inquinanti. L’influenza del mondo economico emerge anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto mediatico della crisi climatica: al primo posto si trovano infatti i rappresentanti dell’economia e della finanza (16%), che superano politici e istituzioni internazionali (15%), esperti (13%) e associazioni ambientaliste (13%). I politici e le istituzioni nazionali si fermano all’11%, a conferma del sostanziale disinteresse della politica italiana verso la crisi climatica, documentata anche durante l’ultima campagna elettorale.
Non fanno meglio i telegiornali di prima serata, che hanno parlato esplicitamente di crisi climatica in meno del 2% delle notizie trasmesse. Studio Aperto e TG1 sono i telegiornali che in percentuale hanno dedicato più spazio al problema, mentre fanalino di coda si conferma il TG La7 di Enrico Mentana, con appena l’1% dei servizi trasmessi. Un approfondimento nei mesi di luglio e agosto 2022, segnati da ondate di calore, siccità, incendi e dal crollo della Marmolada, ha infine evidenziato che, persino quando si parla di eventi estremi, la connessione con i cambiamenti climatici è riconosciuta in appena un quarto delle notizie trasmesse dai telegiornali.
Gli eventi climatici estremi sono stati il principale motivo di attenzione da parte dei programmi televisivi di approfondimento, che hanno affrontato la crisi climatica in 218 delle 1.223 puntate monitorate, pari al 18% del totale. Unomattina è il programma con il maggior numero di puntate dedicate (90), Cartabianca quello con la maggior frequenza rispetto alle puntate trasmesse (39%). In fondo alla classifica si trovano le due trasmissioni di La7: L’Aria che tira (8%) e Otto e mezzo/In Onda (6,5%), a conferma della scarsa attenzione mostrata da questa rete televisiva al riscaldamento globale.
«Un anno di rigoroso monitoraggio sui principali media italiani dimostra senza equivoci che, nonostante l’intensificarsi degli eventi estremi sia ormai realtà anche in Italia, la crisi climatica non viene raccontata per quello che è: un’emergenza che minaccia la vita sul pianeta e la sicurezza delle persone», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia. «Il giornalismo ha un ruolo cruciale e una grande responsabilità, ma occorre liberare la stampa e la televisione dal ricatto economico delle aziende dei combustibili fossili che, con le loro “generose” pubblicità infarcite di greenwashing, inquinano anche l’informazione e ostacolano con ogni mezzo la transizione energetica verso le rinnovabili».
In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha stilato la classifica per l’anno 2022 dei principali quotidiani italiani, valutati mediante cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se tra le cause citano i combustibili fossili; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti e 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti. Quest’ultimo parametro è stato valutato con un questionario che Greenpeace ha inviato ai direttori delle cinque testate, a cui ha risposto parzialmente solo Avvenire. Considerando la media dei cinque parametri, solo Avvenire raggiunge la sufficienza (3 punti su 5); scarsi i punteggi di Repubblica (2,4), Corriere (2,2) e La Stampa (2,2); chiude la classifica Il Sole 24 Ore (2,0), il quotidiano che risente della maggiore influenza da parte delle aziende inquinanti.
Il rapporto viene presentato al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia nell’ambito del panel “Un delitto senza colpevoli: l’influenza delle aziende inquinanti sui media e sul racconto della crisi climatica”. Parteciperanno Riccardo Iacona, autore televisivo e conduttore di Presa Diretta, la giornalista climatica e autrice Stella Levantesi, ed Elisa Palazzi, fisica del clima all’Università di Torino. L’incontro si svolgerà alle 18:00 a Palazzo dei Priori e sarà moderato da Andrea Pinchera, direttore Comunicazione ed engagement di Greenpeace Italia.
Il monitoraggio dei media italiani proseguirà anche nel 2023 nell’ambito della campagna di Greenpeace Italia “Stranger Green” contro il greenwashing e la disinformazione sulla crisi climatica. Con questa campagna l’associazione ambientalista intende contrastare l’influenza dell’industria fossile sul sistema dell’informazione, che minaccia la libertà di stampa, impedisce di conoscere la verità sulla crisi climatica e ritarda gli interventi di cui abbiamo urgente bisogno per accelerare la transizione energetica.