Santa Tresa, un vitigno finito nell’oblio

Un vino nato dal recupero di un vitigno autoctono siciliano scomparso, riportato alla luce grazie a un progetto sperimentale. A Vinitaly (HALL 2, STAND B15) Santa Tresa fa scoprire una varietà reliquia finita nell’oblio

Il viticoltore trentino Stefano Girelli, alla guida dell’azienda con sede a Vittoria, nel Ragusano, ha infatti riportato alla luce un vitigno che non si trovava più, l’innominabile Orisi. Innominabile perché di fatto non esiste più ufficialmente. Ci vorranno i tempi tecnici previsti dalle normative per richiamarlo con il suo nome ma intanto il vino figlio di questa varietà, l’“O” di Santa Tresa – questa la definizione attuale in etichetta – esiste e sarà tra le etichette presentate a Vinitaly dalla cantina siciliana.

“O” di Santa Tresa è un vino unico, riportato alla luce grazie all’ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano, avviato in partnership con l’azienda di Stefano e Marina Girelli. La vendemmia di “O” avviene nella seconda metà di settembre, con selezione delle uve in campo, raccolta in cassette da 15 kg e stoccaggio in cella frigorifera per una notte, a cui segue una pigia-diraspatura con selezione meccanica degli acini. La fermentazione avviene in botti di rovere di Slavonia di medie dimensioni, con l’impiego di lieviti selezionati e numerosi rimontaggi. Ultimato il processo fermentativo, si ricolmano le botti con lo stesso vino fino a sommergere il cappello di bucce: in queste condizioni il vino svolge spontaneamente la fermentazione malolattica e affina fino alla vendemmia successiva, quando il vino viene svinato, separandolo dalle bucce, e passato in acciaio per 4-5 mesi.

LE ORIGINI DEL VITIGNO E IL CAMPO SPERIMENTALE DI SANTA TRESA
L’origine di questo vitigno è stata accertata come frutto della libera impollinazione tra Sangiovese e Montonico Bianco: presente in pochi esemplari, nei vigneti più antichi dell’area dei Nebrodi, fa parte dei cosiddetti vitigni reliquia siciliani, recuperati grazie a un ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano. Un’attività inserita in un vasto piano iniziato nel 2003 denominato “Valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani” che ha mirato al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio ampelografico siciliano nella sua complessità. L’attività ha avuto tra gli obiettivi, oltre la raccolta e classificazione dei vitigni antichi cosiddetti “reliquia”, anche il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione viticola ed enologica e la registrazione di nuovi cloni regionali.
«Abbiamo preso parte a questo progetto con orgoglio – spiega Stefano Girelli –. Siamo convinti che il recupero e la valorizzazione dei vitigni antichi rappresenti una concreta azione nella salvaguardia della biodiversità e dei territori storicamente vocati alla viticoltura. Orisi ha trovato la sua casa in un piccolo fazzoletto della nostra tenuta esposto a Nord, dove abbiamo piantato 1523 ceppi allevati a spalliera in un terreno franco sabbioso, ricco di minerali e poggiato su uno strato di calcareniti compatte».
La ricerca ha preso vita nel 2003 grazie all’Assessorato regionale all’agricoltura Unità operativa di ricerca sperimentazione e trasferimento innovazione che ha condotto una sperimentazione triennale per il recupero della biodiversità della vite in Sicilia.

Un progetto realizzato in partenariato con tre aziende vitivinicole, tra cui Santa Tresa, in collaborazione con il Centro Innovazione Filiera Vitivinicola della Regione Siciliana. Il lavoro di ricerca applicativo si è concentrato sul confronto della variabilità varietale di vitigni reliquia in siti colturali diversi sia nella Sicilia occidentale che in quella orientale, dove sorge Santa Tresa.
Nel 2008 il progetto ha visto l’impianto di circa 2.830 barbatelle innestate di diversi cloni e le cui gemme sono state prelevate presso Centro vivaio governativo F. Paulsen. Si sono approfonditi gli studi delle principali varietà caratterizzanti le risorse vitivinicole della Sicilia (Grillo, Nero d’Avola e Frappato) oltre ad alcune vecchie e quasi scomparse varietà che rappresentavano un serbatoio di biodiversità per la vitivinicoltura siciliana (Albanello, Visparola, Alicante, Nocera, Orisi) e ulteriori cloni di altre varietà considerate determinanti per la conservazione e valorizzazione del germoplasma (Catarratto, Perricone, Insolia, Zibibbo, Malvasia). A partire dal 2012 sono state effettuate anche le prime prove di vinificazione con studio dei parametri quali-quantitativi connettendo le risultanze alla tecnica agronomica svolta in campo, al periodo e modalità di potatura (guyot nel caso del campo sperimentale di Santa Tresa) ed alle epoche di vendemmia. I risultati di questa ricerca hanno consentito anche di ottenere la iscrizione di sei nuove varietà di vite da vino al Registro nazionale delle varietà di vite in un percorso di valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani.


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