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L’endometriosi e la Giornata Mondiale del Volontariato

Il volontariato può cambiare la vita. Lo sanno bene le donne dell’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, che da 18 anni lavorano come volontarie a sostegno della popolazione femminile, per fare informazione e creare consapevolezza sulla malattia cronica per la quale le cause sono ancora sconosciute e non ci sono cure definitive. La Giornata Mondiale del Volontariato del 5 dicembre 2023 è un’occasione per portare all’attenzione l’impegno e l’intraprendenza delle tante volontarie dell’A.P.E. che in tutta Italia organizzano iniziative e svolgono un’informazione capillare per far conoscere l’endometriosi. Ne abbiamo parlato con Annalisa Frassineti, presidente dell’Associazione.

Cosa significa fare volontariato per un’associazione come l’A.P.E.?

«Fare volontariato prima di tutto è accettare la patologia. Fare un percorso di accettazione della malattia, perché l’Associazione è costituita da donne affette da endometriosi e prima di aiutare gli altri bisogna aiutare se stessi, intraprendere un percorso di consapevolezza, informazione e accettazione. Vuol dire metterci cuore, passione, inventiva che solo una volontaria può avere, ma anche professionalità».

Quali le maggiori difficoltà?

«Il tempo. Essendo tutte volontarie, non è semplice ritagliarsi il tempo al di là del lavoro e della famiglia e poi ci sono le difficoltà dovute alla malattia, lo scontrarsi con una società in cui l’endometriosi è sminuita, perché è una patologia di sesso femminile, ed ancora persiste lo stigma legato al dolore durante le mestruazioni.».

Qual è il progetto che vi ha dato più soddisfazione?

«Ciò che abbiamo fatto è stato inimmaginabile, perché ha contribuito negli anni a cambiare il modo di vedere l’endometriosi. Il progetto di informazione e quindi prevenzione che portiamo avanti grazie agli incontri nelle scuole è stato e continua ad essere importantissimo, per cambiare la mentalità degli adolescenti, far loro capire quanto è importante prendersi cura di sé, smettere di sminuire il dolore mestruale, andare dal ginecologo, far conoscere l’endometriosi per avere una diagnosi precoce e comprendere la rilevanza di rivolgersi a medici specializzati in endometriosi qualora si riscontrino nei sintomi. Fondamentali sono anche i corsi di formazione che organizziamo per il personale sanitario, grazie alla collaborazione con medici e ginecologi esperti di endometriosi e i fondi raccolti con il 5×1000. Diversi ginecologi, dopo averli frequentati ed aver conosciuto anche il vissuto di alcune pazienti, hanno deciso di specializzarsi in endometriosi. Sono corsi di alta formazione e innovativi, perché c’è la componente didattica e quella umana grazie alla presenza delle volontarie».

Come è cambiata l’attività dell’A.P.E. da 18 anni fa ad oggi?

«Ci siamo evolute, siamo cresciute. Abbiamo cominciato con tavoli informativi, incontri di sostegno, piccole conferenze, quando non si sapeva proprio cosa fosse l’endometriosi. Oggi la parola è diventata di utilizzo comune, anche se spesso non si sa bene cos’è la malattia. Negli anni abbiamo ascoltato le esigenze delle donne e fatto progetti dedicati a ciò che ci chiedevano. Fare volontariato per una patologia sminuita non è semplice: spesso ci si approccia al volontariato con la rabbia di coloro che non sono state accolte, ascoltate, di coloro che non hanno potuto avere figli e di coloro che hanno dovuto affrontare percorsi difficili fatti di dolore e costi altissimi da sostenere per visite, spostamenti e terapie. La rabbia iniziale può diventare un carburante che si tramuta in qualcosa di positivo, ad esempio in un caldo abbraccio dedicato alle altre donne che hanno il nostro stesso vissuto. L’invito è a lottare come leonesse per la nostra salute. Noi donne, a volte, siamo le prime nemiche di noi stesse, perché per noi sembra normale soffrire in silenzio: quando ci dicono che i nostri sintomi e dolori non sono nulla, siamo abituate, perché siamo cresciute dicendo “tutte stanno male durante il ciclo”. È importante invece credere in noi stesse e nei segnali che il nostro corpo ci manda. Il dolore non va sottovalutato. È fondamentale rivolgersi ai centri specializzati».

Quali conquiste sulla cura per l’endometriosi?

«In questi 18 anni la ricerca ha fatto importanti passi avanti, sia in termini di cura, che non vuol dire guarigione, sia in termini di chirurgia. Di strada da fare però ce n’è ancora tantissima. Sempre più la comunità scientifica si occupa di endometriosi. Speriamo si possa capire da dove viene questa patologia, come prevenirla e come curarla nel miglior modo possibile».

Quali le maggiori necessità per le donne oggi con endometriosi?

«Prima di tutto, avere in ogni regione almeno un centro specializzato per endometriosi. Solo partendo da una diagnosi precoce e da una gestione corretta della paziente, si può affrontare la patologia. E poi creare una rete, i PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali), che accolgano la paziente, grazie alla collaborazione con gli altri centri presenti sul territorio regionale. Sarebbe finalmente utile un riconoscimento sociale tale da avere le esenzioni che la paziente necessita: farmaci, visite, antidolorifici. Il carico economico è elevato e non tutte possono permettersi di sostenerlo e conseguentemente alcune rinunciano alle cure di cui avrebbero necessità. L’endometriosi fa parte dei Lea, che prevedono per ogni 6 mesi un’ecografia e visita ginecologica, ma solo per il terzo e quarto stadio della malattia. Ad oggi, però, per avere una diagnosi considerata dai LEA certa, la paziente deve aver effettuato l’esame istologico e quindi un intervento chirurgico (le linee guida sconsigliano l’intervento se non in casi in cui non si può fare altrimenti). Per le terapie mediche non abbiamo alcun supporto. Le donne che hanno endometriosi al primo e secondo stadio potrebbero avere moltissimo dolore, anche per loro dovrebbe esserci il diritto di avere un’esenzione, anche per evitare che la malattia possa in alcuni casi raggiungere stadi più avanzati. Il tema del lavoro è, inoltre, importantissimo: non ci sono leggi che tutelano le donne se si assentano dal lavoro a causa della patologia, essendo non riconosciuta. Diverse donne con dolori forti e ricorrenti devono mancare dal lavoro e lo perdono o vengono discriminate. Non dovrebbero esiste malattie di serie A o di serie B. Ancora oggi però l’endometriosi è considerata una malattia di serie B. A quando il cambiamento?».

Cos’è l’endometriosi? L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica che colpisce in Italia circa il 10% della popolazione femminile in età fertile, anche se i dati sono estremamente parziali e probabilmente sottostimati. I sintomi più diffusi sono: forti dolori mestruali ed in concomitanza dell’ovulazione, cistiti ricorrenti, irregolarità intestinale, pesantezza al basso ventre, dolori ai rapporti sessuali, infertilità nel 35% dei casi. Per una malattia di cui non si conoscono ancora le cause, per la quale non esistono cure definitive né percorsi medici di prevenzione, per limitare i danni che l’endometriosi provoca, è fondamentale fare informazione per creare consapevolezza!

L’A.P.E. è una realtà nazionale che da 18 anni informa sull’endometriosi, nella consapevolezza che l’informazione sia l’unica prevenzione ad oggi possibile.

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