Entrato ormai nella quotidianità di moltissimi lavoratori, lo smart working sembra essere accolto e vissuto in maniera molto diversa a seconda della fascia d’età. Secondo un recente studio, riportato dalla testata britannica HR News, il lavoro flessibile divide le generazioni tra chi non ne può fare a meno e chi, invece, lo teme. La ricerca, che ha esplorato gli effetti dello smart working su diverse fasce di età, evidenzia una crescente preoccupazione per quanto riguarda l’isolamento vissuto dai dipendenti: un aspetto che unisce i più anziani ai colleghi più giovani. In particolare sono gli over 55 a soffrire le giornate in cui devono lavorare da casa: il 77% degli intervistati in questa fascia d’età ha dichiarato di non amare l’ambiente casalingo per lavorare e tre su cinque (60%) ha scelto di tornare a tempo pieno in ufficio. Un altro dato emerso riguarda l’assenza di contatti personali con i colleghi e per l’80% della fascia 45-54 anni la lontananza dall’ufficio può aumentare il rischio di solitudine. Un problema che coinvolge anche i giovani dipendenti della Gen Z: quasi un intervistato su due (47%) nella fascia 16-24 si sente abbandonato da colleghi e datori di lavoro lontano dall’ufficio. “Lo smart working ha rivoluzionato la nostra concezione tradizionale del lavoro, ma ha anche sollevato nuove sfide in termini di benessere e sicurezza dei dipendenti – spiega Tommaso Barone, HSE Coach e Advisor – Uno degli aspetti da non sottovalutare riguarda proprio l’isolamento sociale. Il lavoro da remoto può portare un senso di solitudine con effetti negativi sulla salute mentale dei dipendenti. Il supporto sociale e la comunicazione regolare sono fondamentali per mitigare questo problema”.
Un’altra importante criticità viene segnalata dalla fascia di lavoratori tra i 25 e i 34 anni, oltre un terzo di loro (35%), ha sottolineato il preoccupante aumento dei consumi causato dal lavoro casalingo e il conseguente aumento dei costi delle bollette. Infine, per due lavoratori su cinque (41%), tra quelli rientrati in ufficio, il momento del viaggio dall’abitazione al luogo di lavoro viene visto come un’occasione per riflettere e per prepararsi alla transizione tra la vita personale e quella lavorativa, un’opportunità non presente durante i giorni di lavoro da remoto.
L’allarme solitudine viene lanciato anche dagli psicologi dell’Università di Boston che, in un recente studio, hanno parlato della solitudine come di una pandemia letale che crea gli stessi danni del fumare 15 sigarette al giorno. Quanto la solitudine sia temuta dai lavoratori emerge anche dallo studio pubblicato su Statista sui timori derivati dallo smart working. Nel 2023 il 15% degli intervistati ha indicato la paura di restare soli come maggior preoccupazione, solo lo stare troppo tempo chiusi in casa è più segnalato (21%). Gli altri timori sono trovarsi in un fuso orario diverso dai colleghi (14%), non riuscire a interrompere il lavoro all’orario giusto (11%), non sentirsi motivato (11%), lavorare troppo (9%), non riuscire a concentrarsi (9%) e avere difficoltà di comunicazione coi colleghi (8%). Mentre alcune aziende emanano rigidi comunicati che impongono ai dipendenti il ritorno in ufficio, altre preferiscono passare sempre di più al lavoro flessibile. Una tendenza che riguarda soprattutto le aziende tecnologiche e in particolare le start up. “Se lo smart working ha permesso ai lavoratori di conciliare meglio la vita professionale e personale, riducendo gli spostamenti e migliorando la qualità della vita – prosegue Tommaso Barone – non bisogna dimenticare che le aziende hanno visto i benefici legati alla riduzione dei costi operativi e all’aumento della produttività. Ora bisogna creare una cultura del lavoro flessibile, molto probabilmente sarà necessario un passaggio generazionale prima di vedere tutti gli effetti. Bisogna formare i lavoratori a gestire la propria autonomia per far sì che lo smart working continui ad essere sempre più un reale vantaggio per l’azienda e per i lavoratori”.
Un lavoratore in smart working deve fare attenzione a diversi aspetti per svolgere le proprie mansioni in sicurezza dall’utilizzare sedie e scrivanie ergonomiche, con le aziende che possono contribuire con consulenze ergonomiche e la fornitura di attrezzature adatte, al proteggere i dati aziendali dal rischio di cyber attacchi che l’azienda può garantire attraverso politiche di sicurezza informatica e la formazione dei dipendenti su come riconoscere minacce online. Ecco, invece, cinque consigli forniti dall’HSE Coach e Advisor, Tommaso Barone, su come un’azienda può aiutare i lavoratori in smart working a non sentirsi soli.
Sondaggi interni: svolgere un’indagine interna attraverso sondaggi per capire l’impatto che la solitudine ha sui lavoratori. Avere un quadro chiaro del problema può aiutare a livello organizzativo e permette interventi mirati per migliorare la situazione.
Supporto psicologico: offrire servizi di supporto psicologico. Un programma di assistenza con sessioni di coaching o di terapia può essere un rivelarsi un importante aiuto per i dipendenti.
Gestione del tempo: invitare i lavoratori a tenere una separazione chiara tra vita personale e vita lavorativa per evitare il rischio di burnout. Va promossa la flessibilità oraria e incoraggiate le pause regolari per garantire giusta gestione una gestione del tempo.
Interazione: promuovere la comunicazione e l’interazione tra colleghi sia durante l’orario lavorativo sia proponendo momenti di extra lavorativi come giornate di volontariato o di team building.
Obiettivi comuni: porre degli obiettivi aziendali di squadra in modo che i lavoratori possano sentirsi parte di un team con un traguardo comune da raggiungere.