Si è riaperto al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York il negoziato per il Trattato mondiale sugli oceani, che era stato sospeso a un passo da una conclusione positiva lo scorso agosto. Dal successo di questo negoziato dipende l’impegno concordato lo scorso dicembre a Montreal alla Conferenza mondiale sulla Biodiversità per tutelare il 30 per cento della superficie terrestre e degli oceani entro il 2030: il cosiddetto “obiettivo 30 x 30”. I progressi fatti in agosto fanno sperare che sia a portata di mano un Trattato ambizioso che consenta di rispettare questo impegno.
“Gli oceani sostengono la vita sul pianeta Terra e il loro destino verrà deciso a questo negoziato”, dichiara Laura Meller, Oceans Campaigner e Polar Advisor di Greenpeace Nordic. “La scienza è chiara: proteggere il 30 per cento degli oceani entro il 2030 è il minimo impegno necessario per evitare la catastrofe. È stato incoraggiante vedere gli Stati adottare a dicembre l’obiettivo del 30 x 30, ma obiettivi elevati senza azioni conseguenti non significano nulla”.
Il fatto che si tenga una sessione speciale a pochi mesi dalla sospensione formale del negoziato è un buon segnale. Se il 3 marzo sarà firmato un Trattato forte, allora l’obiettivo 30 x 30 sarà ancora a portata di mano. Greenpeace auspica che i governi tornino al negoziato pronti anche ai compromessi necessari per arrivare a un trattato efficace: siamo già ai tempi supplementari. Questa è l’ultima occasione e i governi non possono fallire.
Un gruppo di oltre cinquanta Paesi, la High Ambition Coalition (che comprende i Paesi dell’Unione Europea, quindi anche l’Italia) aveva promesso un Trattato entro il 2022, ma senza riuscirci. Molti autoproclamati “campioni degli oceani” del Nord del mondo hanno rifiutato di accettare compromessi su punti importanti, come gli aspetti finanziari o la condivisione dei benefici economici ricavati dalle risorse genetiche degli organismi marini. Su questi punti, come su quelli relativi alla cooperazione e capacity building, si gioca il negoziato e spetta anzitutto ai Paesi del Nord del mondo risolvere l’impasse e proporre offerte negoziali credibili ai Paesi del Sud.
Greenpeace chiede che l’obiettivo principale del Trattato sia la realizzazione di una rete globale di aree marine protette che copra almeno il 30 per cento degli oceani. Un Trattato forte deve poter definire Santuari a protezione integrale nelle acque internazionali e la Conferenza delle Parti (CoP) creata dal Trattato deve poter prendere decisioni rispetto a ogni possibile minaccia alle future aree protette in acque internazionali: dalla pesca, all’inquinamento e alle estrazioni minerarie. La CoP deve inoltre poter operare con decisioni prese a maggioranza, senza la minaccia di restare paralizzata dai veti di uno o pochi Paesi.