Se da un lato l’Italia vive quotidianamente il problema della produzione del latte, acuito dalla crisi internazionale e dall’ulteriore aumento dei costi causato dal conflitto russo-ucraino, dall’altro può contare sul potenziale del settore ovicaprino, ancora sottovalutato e non sufficientemente inserito nelle politiche di programmazione e sviluppo a livello nazionale e territoriale nelle varie regioni italiane. Il punto sui due settori nel contesto delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona (1-3 dicembre) insieme a Confagricoltura.
“Lo scopo importante della fiera – spiega Roberto Biloni, Presidente di CremonaFiere- è quello di far incontrare tutti i soggetti coinvolti in agricoltura e quindi nella filiera agroalimentare. Quello del latte vaccino è un settore che riesce a salvarsi grazie all’export ma bisognerà fare ancora tanti passi in avanti puntando sull’alta specializzazione che abbiamo costruito in questi anni in Italia. L’altro settore importante che riteniamo faccia parte del comparto zootecnico è quello ovicaprino che vogliamo aiutare a crescere mettendo a disposizione il sistema di rete che a Cremona abbiamo creato includendo chiunque abbia voluto e voglia apportare idee di sviluppo. Riteniamo infatti che la zootecnia sia un settore ampio e non localizzato a macchie di leopardo sparse e isolate sul territorio nazionale”.
La situazione del comparto lattiero caseario sta attraversando una fase di forte volatilità. Siamo di fronte ad una congiuntura internazionale con ben pochi precedenti: il latte manca ed il suo prezzo continua a salire. Ma sono aumentati enormemente anche i costi di produzione e gli allevatori reagiscono cercando di contenere i costi, ad esempio riducendo il mangime acquistato ed eliminando le vacche meno produttive e a fine carriera. L’effetto è una minore disponibilità di latte vaccino che subisce costanti aumenti di prezzo ed entro la fine dell’anno salirà a 60 centesimi, il 40% in più̀ di un anno fa. Le preoccupazioni permangono sia in vista della chiusura dei bilanci aziendali, sia per le prospettive, sulle quali incombe la riforma della Pac in vigore a gennaio che andrà a diminuire progressivamente i contributi previsti. E poi di fronte alla crisi emergente ci si domanda come reagiranno i consumatori nei confronti di un’ inflazione crescente e una diminuzione del loro potere di acquisto e sui quali inevitabilmente viene riversata una quota parte dell’aumento dei costi che ha toccato anche l’industria di trasformazione e di distribuzione.
Il settore dovrà trovare un nuovo equilibrio, dal momento che in poco più di due anni il prezzo del latte è aumentato del 63%. I prezzi in aumento al consumo di prodotti lattiero caseari stanno disincentivando i consumi in quantità: sfiora il 3% il calo di formaggi e latticini nei primi nove mesi del 2022, mentre il carrello della spesa per latte e derivati è aumentato di oltre il 4%. A ottobre, secondo l’Istat, i prezzi su base annua per formaggi e latticini sono saliti del +14,8%. Positivo invece l’export di formaggi e latticini, cresciuto in valore e in quantità. Il fatturato del settore del solo latte vaccino è di 16,7 miliardi di euro, incidendo per circa l’11% sul totale del fatturato industriale dell’agroalimentare, con una spesa delle famiglie annua dedicata al comparto di circa 21 miliardi di euro.
“Oggi dobbiamo far capire ai consumatori che cos’è il tema zootecnico- dichiara Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura-. La battaglia non si vince solo dicendo No al cibo sintetico, ma facendo una riflessione sui modelli nutrizionali. Rispetto a un mondo che sta cambiando il proprio modo di alimentarsi, occorre capire quale modello agricolo realizzare. Come Confagricoltura, pur guardando a un futuro diverso, partiamo dall’attualità e dal tema della competitività delle imprese. Poter costruire economie di scala dobbiamo capire quale modello e quale filiera dobbiamo costruire per andare incontro al consumatore. Finalmente si inizia a discutere in Europa di scienza e di tecnica applicata, ma sui temi della sostenibilità ambientale dobbiamo necessariamente riflettere sul modello che ci viene richiesto. Ci sono realtà zootecniche che sono fortemente avanzate, hanno investito e diversificato anche i ricavi, contribuendo sul fronte ecosistemico. È in questa direzione che dobbiamo andare”
L’Italia ha un ruolo determinante nella produzione ovicaprina a livello europeo: il nostro Paese è al primo posto per produzione di formaggi a base di latte di pecora, al terzo per la produzione di latte ovino dietro Grecia e Spagna e al settimo posto per la produzione di cani ovicaprine. Benché con circa 0,8 miliardi di euro di valore della produzione il comparto ovicaprino incida solo per poco più dell’1% sulla Produzione agricola nazionale ed il 4,4% del valore della produzione zootecnica, esso costituisce, specie per alcuni territori, un presidio essenziale e anche un elemento notevole per la crescita e l’occupazione di alcune aree vocate. Un valore particolarmente rilevante assume per le produzioni DOP ed IGP: 18 formaggi DOP ed IGP rappresentano praticamente la metà della produzione complessiva di formaggi ovicaprini. Invece 3 IGP delle carni ovine rappresentano circa il 20 per cento della produzione di carni ovicaprine nazionale.