Con l’avvicinarsi della Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF) ActionAid lancia un appello urgente affinché il nostro Paese applichi misure decisive per prevenire e contrastare questa forma specifica di violenza di genere e per proteggere appieno i diritti umani di bambine, ragazze e donne più a rischio o che hanno già subito tale pratica lesiva. Secondo le stime disponibili, in Italia, nel 2019, le donne portatrici di MGF erano 87.600, di cui 7.600 minorenni, mentre le bambine a rischio circa 5.000, provenienti prevalentemente dall’Egitto e dalla Nigeria. Tuttavia, questi numeri non riflettono l’effettiva diffusione del fenomeno dal momento che si tratta di una pratica ancora poco conosciuta e riconosciuta.
Da molti anni la legge italiana (l. n. 7/2006) vieta le mutilazioni genitali femminili, stabilendo al contempo la realizzazione
di una serie di misure di prevenzione e assistenza a favore delle vittime in capo a diversi Ministeri e alle Regioni. Molte, tuttavia, sono le criticità registrate. Innanzitutto, la mancanza di formazione di chi, nel settore sociale, sanitario, educativo e legale, entra in contatto con bambine, ragazze e donne a rischio o già soggette a MGF; il coinvolgimento limitato delle comunità praticanti; l’accesso ridotto ai servizi assistenziali e medici, soprattutto per la ricostruzione e la rigenerazione dei tessuti genitali.
Per garantire a chi ha subito una mutilazione genitale femminile tutto il supporto necessario, è fondamentale che le istituzioni
a livello nazionale e regionale si attivino per migliorare le politiche e le procedure attualmente disponibili.
Il Sistema sanitario nazionale deve riconoscere le conseguenze fisiche e psicologiche derivanti dalle MGF, prevedendo il loro inserimento nella lista dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) per le patologie croniche e consentendo l’esenzione del ticket.
Bisogna inoltre garantire l’accesso alle cure anche per le donne e ragazze prive di assistenza sanitaria mediante apposita codifica STP (Straniero temporaneamente presente) o titoli equivalenti a seconda dello status giuridico. Inoltre, istituendo appositi
codici di Raggruppamento omogeneo di diagnosi (DRG – Diagnosis-Related Group) per la ricostruzione chirurgica funzionale, sensoriale e anatomica della vulva e la sua rigenerazione tissutale, anche le Regioni possono svolgere un ruolo fondamentale nel
promuovere il diritto alla piena salute sessuale e riproduttiva delle donne portatrici di MGF e assicurare, al contempo, un adeguato rimborso economico agli ospedali in caso di intervento.
“La comunità scientifica internazionale è concorde nell’affermare che, nelle donne che hanno subito una mutilazione e che ne
fanno richiesta, la semplice deinfibulazione è spesso insufficiente a curare i sintomi cronici legati alla pratica. Le tecniche di ricostruzione che possono essere proposte sono molteplici, ma nessuna ha una specifica codifica DRG e un adeguato rimborso della
procedura. Ciò implica che vengano utilizzati codici di chirurgia riparativa e rigenerativa creati per altre patologie, con il rischio che la codifica risulti non appropriata e che quindi la procedura non venga adeguatamente rimborsata” segnala la dottoressa Barbara Grijuela, Medico Chirurgo, specialista in Ostetricia e Ginecologia, ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.
Allo stesso tempo sarebbe necessaria, a livello regionale, la
creazione di unità multidisciplinari specializzate che utilizzino risorse già presenti sul territorio, integrando mediatrici linguistico-culturali debitamente formate e specialisti in chirurgia plastica.
Tale opportunità nasce da una proposta da parte della SICPRE – Società italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva-rigenerativa ed Estetica che, grazie ad associati come il chirurgo plastico Dott. Massimiliano Brambilla, è molto attiva sul fronte delle
mutilazioni genitali femminili.
Inoltre, maggiore trasparenza è necessaria per quanto riguarda l’applicazione della legge n. 7/2006. Allo stato attuale, infatti,
non risultano disponibili relazioni periodiche sulle misure preventive, sui servizi di sostegno, sul numero verde nazionale 800.300.558 e sulle iniziative di informazione e formazione previste, a cui la Legge di bilancio destina annualmente risorse dedicate.
Anche il futuro Piano nazionale contro la violenza maschile sulle donne, in sinergia con i piani antiviolenza regionali, deve prevedere azioni strutturate e continuative di ricerca, sensibilizzazione, informazione e formazione.
“Ancora troppo spesso le mutilazioni genitali femminili sono considerate un fenomeno lontano, che non ci riguarda. E invece sono una forma di violenza presente in molti territori italiani, resa invisibile dalla scarsa attenzione delle istituzioni e dall’inadeguata conoscenza di chi, a vario titolo professionale, può entrare in contatto con bambine, ragazze e donne che potrebbero
essere interessate da questa pratica lesiva. Per rendere visibile una gravissima violazione dei diritti umani e, soprattutto, prevenirla e combatterla, è necessario che sia le istituzioni centrali sia quelle locali mettano in campo una strategia multi-agenzia
di lungo periodo. Quest’ultima, tra le altre, deve prevedere attività adeguatamente finanziate e regolarmente implementate rivolte alle comunità praticanti e agli attori chiave dei settori educativo, sanitario, sociale e legale per dotarli di conoscenze specifiche
e di strumenti operativi e di coordinamento che consentano l’emersione, l’invio e la presa in carico di casi potenziali o effettivi di MGF nei vari territori del Paese. In questo contesto, Community trainer e mediatrici linguistico-culturali devono avere un
ruolo centrale perché siamo ponti imprescindibili tra culture che facilitano l’accesso ai servizi permettendo davvero di combattere le MGF in Italia” afferma Aisha Ba, Community Trainer per ActionAid Italia.