‘Entro il 2025 perderemo fisiologicamente 14.493 medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, 3.674 specialisti ambulatoriali, 20.500 dirigenti medici per un totale di 38.667 medici senza contare i prepensionamenti, le dimissioni volontarie e i medici che emigrano all’estero’. Lo ha dichiarato il segretario generale del Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana e Professionalità dell’Area Sanitaria, Antonio Magi, in occasione del 55esimo congresso nazionale del Sumai Assoprof.
L’evento, dal titolo ‘Specialistica ambulatoriale. Quale futuro: pubblico o privato?’, è in corso a Roma presso l’Hotel Villa Pamphili e si conclude giovedì 12 ottobre.
‘La sensazione di abbandono che provano oggi i medici dopo il Covid, come tutto il personale sanitario, e la scarsa attenzione alla manutenzione del Servizio sanitario nazionale- ha proseguito- sta portando molti medici e professionisti della sanità, soprattutto quelli più giovani ma non solo, a cercare strade alternative per vivere la loro professione con meno burocrazia, più sicurezza, migliore retribuzione e migliore organizzazione.
‘Se non ci saranno subito investimenti seri e decisivi sul personale sanitario- ha ammonito- la sanità pubblica italiana che conosciamo oggi, anche se in crisi, dal 2025 rischia di saltare realmente poiché, come abbiamo visto mancheranno quasi 39mila medici’.
‘Dimissioni volontarie, prepensionamenti, concorsi pubblici che vanno deserti, mancanza di sostituti per la specialistica ambulatoriale- ha continuato Magi- sempre più aree carenti per la medicina generale, sempre più medici che scelgono di lavorare nel privato, in cooperative o di andare all’estero da dove arrivano proposte economiche che permettono qualità di vita nettamente migliori. Continuare a proporre ancora le stesse ricette che sanno più di ideologia che di concretezza è una scelta suicida con un esito ampiamente prevedibile’.
Secondo il segretario generale del Sumai Assoprof ‘appare necessaria una riforma del percorso formativo che potrebbe essere strutturata, ad esempio, dai primi 4 anni teorici uguali per tutti, seguiti poi da 4 anni di formazione specialistica pratica o come medicina generale o come specializzazione in una specifica branca della medicina a cui seguono 3 anni, facoltativi, di super specializzazione attraverso master universitari’.
‘In questo modo- ha concluso- non si avrebbero più camici grigi ma una formazione medica completa per entrare nel Servizio sanitario nazionale. Questo richiede ovviamente una seria programmazione nei numeri dei posti e delle specialità’.
SENZA INVESTIMENTI, DA 2025 SANITA’ PUBBLICA PUÒ SALTARE
‘Senza investimenti decisivi sul personale sanitario la Sanità Pubblica Italiana che conosciamo oggi, anche se in crisi, dal 2025 rischia di saltare’ è stato ancora l’allarme lanciato dal segretario generale del Sumai.
‘Tra due anni, infatti- ha proseguito- circa 39mila medici usciranno dal Ssn a causa di dimissioni volontarie, pensionamenti, concorsi pubblici che vanno deserti, medici che scelgono il privato, le cooperative o di andare all’estero’.
Antonio Magi ha individuato quelle che, dal suo punto di vista, sono le principali criticità del sistema: invecchiamento demografico, finanziamento del Servizio sanitario nazionale, carenza di personale e retribuzione del personale, cercando in un’ottica propositiva di suggerire anche soluzioni.
‘Senza di reali e concrete politiche per il personale e le scarsissime risorse economiche messe a disposizione- si è domandato il segretario generale del Sumai Assoprof- come potranno attuare la Missione 6 del Pnrr? Oggi ci troviamo davanti ad una generalizzata carenza di medici specialisti disposti a lavorare per il nostro Servizio sanitario nazionale’.
‘Le scelte fatte finora- ha poi aggiunto- ci stanno portando a un bivio: sanità pubblica o sanità privata? Se la sanità virerà verso il privato questa scelta comporterà per gli italiani maggiori costi a causa delle regole di un mercato spietato fatto solo di profitto. Ciò significa addio all’universalismo, all’equità e all’uguaglianza dei cittadini davanti alla malattia. Una sanità pubblica debole porterà costi elevati in termini di salute e questo inciderà inevitabilmente sul sistema produttivo per giornate di lavoro perse costando così al nostro Paese molti punti di Pil’.
Antonio Magi ha inoltre ricordato che ‘già oggi vediamo un territorio desertificato ridotto, di fatto, nei numeri delle sue figure principali: medici specialisti ambulatoriali, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. In più stiamo assistendo ad un ospedale che si sta svuotando. La desertificazione della sanità sta portando all’estinzione del professionista del Ssn. Nel corso degli anni, infatti, a causa di scellerate scelte politiche, il territorio non è più riuscito a soddisfare efficacemente i bisogni della gente costringendo i pazienti ad andare sempre più in ospedale invece di curarsi a casa o ambulatorialmente’.
Non solo. ‘La ridotta offerta specialistica sul territorio, con meno ore nei poliambulatori- ha precisato- è uno dei principali motivi che ha generato liste d’attesa interminabili insieme alla medicina difensiva e alla domanda crescente di salute delle persone’.
‘Purtroppo- ha poi detto- il modello sanitario pubblico, istituto con la Legge 833 del 1978, ha vissuto numerosi cambiamenti. Il risultato di questi cambiamenti lo abbiamo sotto i nostri occhi: una sanità sottofinanziata, differenziata, diseguale e poco equa. Sempre più appaltata all’esterno, meno
prodotta dalle aziende sanitarie, povera di mezzi e di personale che quasi non riesce a soddisfare i bisogni di salute delle persone’.
‘Eppure- ha informato Antonio Magi- nonostante la sottrazione di risorse economiche, il nostro sistema sanitario ha retto fin che ha potuto, ma a che prezzo? Scarsi investimenti, retribuzioni tra le più basse in Europa, difficoltà di accedere alle cure, poco personale, difficili condizioni di lavoro, denunce e atti di violenza, anche mortali, contro gli operatori sanitari’.
‘Tutto- ha concluso- sta incidendo sulla qualità delle cure, nonostante lo sforzo degli operatori sanitari e sulla percezione dei cittadini, i quali lamentano liste d’attesa infinite, strutture spesso fatiscenti, attrezzature obsolete, scarsa informazione, poco tempo dedicato alla comunicazione medico-paziente, con tutto ciò che ne consegue’.
REGIONI PROPONGANO INCREMENTO ORE A COLLEGHI SENZA MASSIMALE ORARIO
‘Attualmente gli specialisti ambulatoriali sono titolari di incarichi a tempo indeterminato che vanno dalle 5 alle 30 ore settimanali, con una media di 25 ore. Da subito si potrebbe pensare ad un incremento medio stimato intorno alle 7 ore settimanali che porterebbe l’attuale media oraria dalle 25 alle 32 ore settimanali. Le regioni che si lamentano delle lunghe liste d’attesa e della mancanza di specialisti invece dei medici stranieri potrebbero proporre ai nostri colleghi che non hanno il massimale orario e che operano a tempo indeterminato, quindi già in servizio nelle loro aziende sanitarie, un incremento orario ai sensi dell’articolo 20 comma 1 del vigente Acn’ ha aggiunto Magi.
‘Chiediamo dunque alle regioni di proporre la trasformazione immediata a tempo indeterminato per i contratti degli specialisti ambulatoriali che attualmente operano a tempo determinato nel Servizio sanitario nazionale. In questo modo le regioni otterrebbero anche un notevole risparmio economico poiché il costo orario del tempo indeterminato è inferiore rispetto a quello del tempo determinato.
‘Alcune regioni- ha poi ricordato Magi- avrebbero potuto utilizzare, e possono farlo ancora, i colleghi specialisti in attesa in graduatoria invece di utilizzare i medici non ancora specialisti o chiamare gli stranieri non abilitati all’esercizio della professione in Italia o peggio i ‘gettonisti’. A proposito di questi ultimi, basta con i contratti di lavoro intermediato dalle cooperative dei cosiddetti ‘gettonisti’, con costi orari notevolmente più elevati (150 euro lordi ora dei gettonisti contro i 35,68 euro lordi degli specialisti Sumai) provocando un evidente danno erariale’.
‘Questo probabilmente non risolverebbe totalmente la mancanza d specialisti- ha concluso- ma lo farebbe in buona parte destinando questi specialisti ambulatoriali alle nascenti case della comunità, agli ospedali di comunità e all’assistenza domiciliare’.