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Musica e medicina, le neuroscienze e le ‘rockstar’

Musicisti di successo del secolo scorso, con vite spesso travagliate e segnate da drammatiche vicende cliniche legate a gravi malattie neurologiche, quando ancora la medicina prestava il fianco ad una serie di diagnosi che poi si rivelavano sbagliate. Da Maurice Ravel a George Gershwin, sono diverse le vicende cliniche delle grandi ‘rockstar’ vissute tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, che hanno influenzato negativamente le loro esistenze, soprattutto le loro (seppur spesso brevi) brillanti carriere. Ma rileggere le loro storie, ai giorni nostri, regala uno sguardo di eccezione sui progressi della medicina, con una consapevolezza: le morti premature di questi grandi compositori oggi si sarebbero potute evitare grazie agli eccezionali passi in avanti raggiunti nel campo delle scienze neurologiche.

È questo il cuore della lettura magistrale dal titolo ‘Musica e Medicina: come la storia dei grandi compositori e delle loro malattie può aiutare lo studio della mente umana’, che sarà tenuta dal dottor Lorenzo Genitori, primario di Neurochirurgia presso l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, in occasione del 62esimo Congresso Nazionale della SNO (Società delle Neuroscienze Ospedaliere). L’appuntamento è per giovedì 28 settembre alle ore 14, presso la sala plenaria del Palazzo degli Affari (Firenze Fiera).

Il dottor Genitori si fa intervistare per approfondire il tema: come le neuroscienze hanno influito sull’attività musicale dei grandi compositore.

– Molti maestri della musica hanno affrontato in passato alcune ‘manifestazioni’ psicofisiche, un tempo considerate ‘demoni della mente’. Cosa sappiamo oggi?
“Oggi sappiamo che quello che vivevano erano sintomi di malattie neurologiche o neurodegenerative. Al centro della mia lettura magistrale ‘Musica e Medicina’ affronterò i principali studi realizzati nell’arco di un decennio sulla relazione tra le malattie presentate dai grandi compositori dell’800 e del ‘900 e la loro produzione musicale; mi soffermerò anche sulle ultime ricerche nel campo delle neuroscienze e delle reazioni del cervello di fronte ai diversi stimoli musicali”.

– Ma come inquadrerà lo studio della storia con la ricerca sulla musica e le neuroscienze?
“Partirò da due musicisti, Maurice Ravel e George Gershwin, in apparenza molto diversi tra loro, ma le cui vite si sono incrociate in maniera inaspettata. Nello stesso anno (1937) hanno subito entrambi un intervento di chirurgia cerebrale, per ragioni diverse, che li ha condotti ad una morte prematura. Questa premessa ci aiuta già a capire il fenomeno della composizione e della interpretazione musicale con l’ausilio dei dati moderni delle neuroscienze”.

– In che modo oggi la musica può essere d’aiuto alle neuroscienze?
“Le immagini in Risonanza Magnetica funzionale (fMRI), per esempio, ci consentono oggi di affinare la nostra conoscenza in merito agli stimoli del cervello dinanzi alla musica. E non parliamo soltanto di aree acustiche, ma anche di aree del cervello che interpretano quello che si ascolta. Alcuni esperimenti eseguiti su soggetti diversi (esperti musicologi oppure persone senza alcuna conoscenza musicale) hanno dimostrato come molteplici aree di attivazione cerebrali aumentino il loro metabolismo durante l’ascolto di brani musicali”.

– Può farci qualche esempio pratico?
“Per esempio, mentre un pianista esperto ascolta un brano che conosce bene, in genere attiva soltanto poche aree cerebrali; se invece si aggiunge allo stesso brano una improvvisazione o uno strumento che non conosce, in quel caso si moltiplicano le aree cerebrali. Questo significa che l’ascolto si arricchisce di nuove analisi e il cervello tenta di dare nuovi significati a questa esperienza sensoriale. Esperimenti del genere hanno contribuito all’evolversi di molteplici tecniche chirurgiche”.

– Ce ne parli…
“Si tratta di tecniche che si sono evolute negli ultimi 20 anni e che sono utilizzate soprattutto nella neurochirurgia degli adulti. Non vengono quasi mai utilizzate in età pediatrica, poiché prevedono che durante l’intervento il paziente sia vigile e collaborativo, in grado cioè di eseguire task specifici, spesso complessi. In alcuni casi, con la musica si riesce a mappare perfettamente alcune aree nobili del cervello, ossia quelle funzionali, e ad evitarle durante l’intervento”.

Da neuroscienziato, lei come definisce oggi il rapporto tra musica e cervello umano?
“Sono strettamente collegati tra loro. Sappiamo, per esempio, che l’ascolto di una piacevole sinfonia provoca il rilascio di dopamina (neurotrasmettitore che accresce il senso di benessere), aumenta la circolazione del sangue e regola il battito cardiaco attraverso la stimolazione di alcuni nuclei ipotalamici destinati al senso del piacere. Allo stesso modo, l’ascolto di dissonanze esercita sul cervello fenomeni come disgusto, nausea, vertigine e sensazione di disagio o confusione. Inoltre è verosimile che esistano nel nostro cervello dei diversi network associativi, che permettano a ciascuno di noi di ‘ascoltare’ la musica in modo diverso”.

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