Il 3 maggio ricorre la Giornata Mondiale della Salute Mentale Materna. Istituita nel 2016, questa ricorrenza viene celebrata ogni anno il primo mercoledì di maggio, il mese per eccellenza dedicato ai temi di salute mentale. È una data chiave che ha il duplice obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di tutelare e preservare il benessere psicologico delle madri e, al contempo, sollecitare le istituzioni affinché intensifichino le misure di prevenzione, diagnosi e cura dei disturbi psichici perinatali, garantendo alle donne e alle loro famiglie un supporto tempestivo ed efficace.
Un figlio è sano se anche la sua mamma sta bene.
L’arrivo di un figlio è un evento tanto gioioso quanto trasformativo, soprattutto per la madre. Già dalla gravidanza, la donna si trova a vivere profondi stravolgimenti fisici e psicologici. Per questo, il periodo gravidico e postnatale rappresenta per molte un momento di grande fragilità emotiva in cui, spesso, può verificarsi un’alternanza tra felicità e sentimenti ambivalenti, quali dubbi, incertezze, ansie e, persino, paure. Tali sensazioni possono essere difficili da accettare e, se non elaborate correttamente, divenire fattori di rischio per la salute mentale della donna e avere anche importanti implicazioni sulla coppia, sul feto e sull’intero sistema familiare.
Oggi sappiamo, infatti, che esiste una stretta correlazione tra il benessere psicologico della madre e quello del bambino: un figlio è sano se anche la sua mamma sta bene. Pertanto, solo proteggendo questa delicata fase di vita della donna e il suo benessere emotivo è possibile tutelare e preservare la salute del bambino. Recenti studi dimostrano che stress prolungati in gravidanza e nel post parto possono alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno-fetali e avere conseguenze sia sulla condizione mentale della madre che sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale della nuova vita che ha in grembo. Anche il momento del parto risulta essere determinante. Un’esperienza negativa può, infatti, lasciare un segno profondo nel vissuto personale della neomamma. Inoltre, è comprovato che le donne che subiscono un trauma durante il parto abbiano molte più possibilità di sviluppare una depressione perinatale.
Nella foto: la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris,
Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo
Dare alla luce un figlio in Italia: un evento sempre più meccanico e medicalizzato.
L’Italia ha una percentuale di mortalità e morbilità materna e neonatale tra le più basse in Europa. Purtroppo, siamo, però, anche uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di tagli cesarei e di medicalizzazione del percorso nascita.
Nel 1985, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato una lista di raccomandazioni sulle modalità di assistenza al travaglio, al parto e al post partum, poi aggiornata nel 2018. Nel documento sono indicate in modo preciso e puntuale le pratiche ritenute appropriate ed efficaci e quelle, invece, sconsigliate, perché intrusive e potenzialmente persino dannose. Ciò nonostante, sono ancora moltissime le strutture sanitarie, nel nostro Paese e nel mondo, che non si attengono alle esortazioni dell’OMS e che, basandosi su protocolli interni spesso obsoleti, mettono in atto un’assistenza standardizzata, meccanica, aggressiva e irrispettosa delle volontà e dei diritti delle madri.
“La nascita è un evento con forti implicazioni emozionali, psicologiche e affettive sulla madre e sul bambino. È essenziale che, per ogni parto, sia garantito un livello appropriato di assistenza ostetrica e cure attente ai bisogni fisici e psichici della mamma e del suo neonato. Dare alla luce un figlio è un’esperienza unica e intensa. Proprio per questo, a nessuna madre dovrebbe essere negato il diritto di vivere un momento tanto importante secondo il proprio modo di essere e di sentire.
È fondamentale promuovere una cultura della nascita più consapevole, rispettosa e pensata per le esigenze di ciascuna donna. Infatti, se, da un lato, la medicalizzazione e i protocolli sanitari hanno contribuito a ridurre l’incidenza di complicanze, assolutamente auspicabile soprattutto in presenza di fattori di rischio, dall’altro, iscrivere il parto all’interno di una routine standardizzata rischia di svuotare un evento tanto straordinario della sua unicità e del suo senso più profondo”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e Società Benefit Unobravo.
Ancora troppo spesso il parto è, infatti, gestito secondo un approccio seriale. La sua disumanizzazione è di frequente una diretta conseguenza della carenza di personale medico e infermieristico: un problema che affligge l’Italia e molti altri Paesi del mondo. Al loro ingresso nell’habitat ospedaliero, le donne smettono di essere considerate come individui e vengono sottoposte a procedure standard, a volte invasive, innecessarie o, persino, dannose. Quando si verificano situazioni di violazione dei diritti umani, quali l’eccessiva medicalizzazione, la somministrazione di cure o farmaci senza consenso o l’assenza di rispetto per la persona e la sua volontà, si può parlare di violenza ostetrica.
Violenza ostetrica: cos’è e come si manifesta?
La ONG Save the Children la definisce come “un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso”. La violenza ostetrica costituisce, quindi, una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e un grave rischio per l’integrità fisica e mentale della donna. Benchè tali circostanze possano presentarsi durante tutto l’arco della vita femminile, è comprovato che esse si verifichino con maggior frequenza e intensità durante il percorso nascita, che riguarda le fasi della gravidanza, del parto e del puerperio.
Origine del fenomeno: dall’America Latina al resto del mondo.
Di violenza ostetrica si è iniziato a parlare solo di recente. La prima legge che definisce la violenza ostetrica come un reato interessa l’America Latina. Nel 2007 venne, infatti, definita per la prima volta in ambito giuridico nella Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia del Venezuela come “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.
Dal Venezuela, il concetto di violenza ostetrica si è poi diffuso nel resto del mondo, tanto da indurre l’OMS a stilare un documento ufficiale nel 2014 dal titolo La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere, volto a individuare tutti quegli atteggiamenti e condotte da considerarsi abusivi e potenzialmente traumatici. La dichiarazione dell’OMS evidenzia anche come siano le donne più giovani, nubili, affette da HIV o appartenenti a contesti socioeconomici svantaggiati a vivere questo genere di esperienze all’interno delle strutture ospedaliere.
Tra le pratiche su cui mette in guardia l’OMS rientrano: abusi fisici e verbali, umiliazione, procedure mediche non autorizzate o coercitive, mancanza di riservatezza o violazione della privacy, carenza di un consenso realmente informato, rifiuto di offrire terapie per il dolore e qualsiasi forma di trascuratezza nell’assistenza al parto o negligenza che potrebbe mettere in pericolo la salute fisica e mentale della donna stessa.
La violenza ostetrica è violazione dei diritti umani e violenza di genere.
Nel 2019, la violenza ostetrica è stata scelta da Dubravka Šimonovic, relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne, come tema dell’anno. Il rapporto redatto dalla Šimonovic, a cui hanno contribuito oltre 120 Paesi con dati, materiali e resoconti, rappresenta ad oggi il documento più approfondito ed esaustivo sull’argomento, inoltre inquadra per la prima volta il fenomeno nell’ambito della violenza di genere.
La violenza ostetrica affonda infatti le sue radici nella cultura patriarcale, tuttora ancora dominante nella nostra società e da cui non è esente neppure il campo medico. Si basa su degli stereotipi di genere che portano a non prendere seriamente le donne, al punto da escluderle persino dal processo decisionale che riguarda il loro corpo e il momento del parto. Questo retaggio culturale può portare il personale sanitario a praticare interventi invasivi e spesso non necessari sulla madre, senza neanche che le venga chiesto il consenso.
Tra le pratiche da tempo non raccomandate dall’OMS perchè considerate innecessarie e capaci di generare disagio o sofferenza troviamo: il clistere e la depilazione del pube, il divieto prolungato di assumere cibo o bevande, l’impossibilità di scegliere la posizione preferita durante il travaglio e il parto, il taglio precoce del cordone ombelicale e la separazione del neonato dalla mamma subito dopo la nascita. A queste si aggiungono anche la manovra di Kristeller, una vigorosa spinta col braccio sull’addome volta a favorire l’uscita del bimbo, il rifiuto di somministrare un anestetico come l’epidurale, l’utilizzo eccessivo di ossitocina sintetica per indurre le contrazioni e la pratica di suturare eventuali lacerazioni con dei punti extra, spesso non necessari e praticati con l’intento di restringere la vagina per aumentare il piacere del partner durante i rapporti sessuali nei mesi successivi al parto.
La violenza ostetrica in Italia.
In Italia, è solo in anni recenti che le madri hanno iniziato a far sentire la propria voce e a denunciare. Questo ritardo è riconducibile al fatto che, in moltissimi casi, le stesse donne hanno avuto difficoltà a prendere coscienza del problema della violenza ostetrica e a realizzare di esserne state vittime. Ciò è dovuto soprattutto al retaggio, ancora molto diffuso nella nostra cultura, che vede la sofferenza della partoriente come qualcosa da lodare e glorificare e che fa sì che, in sala parto, qualsiasi forma di esproprio dei diritti sul corpo a danno della madre sia considerato normale e ampiamente legittimato.
A portare per la prima volta il tema della violenza ostetrica all’attenzione del pubblico e dei media italiani è stata la campagna social del 2016 #BastaTacere le madri hanno voce. Per due settimane, le donne sono state invitate a raccontare la propria esperienza di parto su un foglio bianco, per poi fotografarlo e postarlo sulla pagina della campagna. Con migliaia di testimonianze raccolte, l’iniziativa ha fatto sì che, finalmente, anche in Italia si levasse un coro di voci sul tema della violenza estetica.
Sulla scia dell’iniziativa social è poi nato OVOItalia, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, un organismo della società civile, gestito da madri, che porta avanti importanti attività di ricerca, raccolta dati e divulgazione sull’argomento.
Nel 2017, OVOItalia ha commissionato un’indagine a Doxa che potesse restituire un quadro esaustivo sulla violenza ostetrica nel nostro Paese. Per lo studio è stato coinvolto un campione di circa 5 milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54 anni d’età, con almeno un figlio di 0-14 anni. Gli esiti del sondaggio, resi pubblici successivamente in un articolo dell’European Journal of Obstetrics & Gynecology, hanno portato alla luce una fotografia molto allarmante. Il 21% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito abusi o violenze nel corso della prima esperienza di parto. Oltre 4 donne su 10 sono state vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica. Il 54% delle partorienti ha detto di aver subito un’episiotomia, un’operazione molto invasiva e sconsigliata anche dall’OMS in quanto dannosa e lesiva, a cui il 61% ha dichiarato di non aver mai dato il proprio consenso informato. Quando praticata “a tradimento” o senza anestesia, l’episiotomia, che prevede il taglio chirurgico di vagina e perineo, può avere serissime conseguenze sulla sessualità e sulla salute mentale della donna.
Sempre secondo lo studio, il 6% delle intervistate ha detto di non volere più figli e di aver rinunciato a una seconda gravidanza a causa dell’esperienza traumatica vissuta. Altre donne, invece, dopo aver esperito un parto cruento, hanno lamentato difficoltà ad allattare. Tutto questo ha, ovviamente, fortissime conseguenze sociali. Si parla, infatti, di oltre 20 mila bambini non nati ogni anno.
Violenza ostetrica è anche lasciare sole le donne dopo il parto.
Anche la solitudine dopo il parto può essere considerata una forma di violenza ostetrica. Molto spesso, infatti, le madri vengono lasciate completamente sole fin dai primi momenti dopo il parto, senza che nessuno verifichi regolarmente le condizioni di salute fisica o psicologica loro e del neonato.
Quello della solitudine delle donne nella fase del parto e del post partum è un problema molto diffuso, come confermato anche da recenti studi scientifici, tra cui quello condotto dall’Istituto Burlo Garofalo di Trieste, Centro Collaboratore OMS per la Salute Materno Infantile. Dal sondaggio, che ha preso in esame un campione di quasi 5 mila donne che hanno dato alla luce un figlio tra marzo 2020 a febbraio 2021, nei mesi più duri della pandemia, è emerso che: il 78,4% non ha potuto ricevere assistenza dal partner, il 39,2% non si è sentita completamente coinvolta nelle scelte mediche, il 24,8% non si è sempre sentita trattata con dignità, mentre il 12,7% ha detto addirittura di aver subito abusi.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’assistenza durante le fasi finali della gravidanza e i primi giorni di vita del bambino è fondamentale. Purtroppo, la realtà ci consegna invece tante, tantissime storie di solitudine, abbandono e sofferenza. Ne è un esempio quanto successo all’Ospedale Pertini di Roma, dove un neonato è morto soffocato tra le braccia della sua mamma che, rimasta sola e stremata dopo 17 ore di travaglio, si è addormentata mentre lo stava allattando. Il fatto di cronaca, avvenuto all’inizio di quest’anno, ha riportato nuovamente all’attenzione del pubblico e dei media il tema della violenza ostetrica.
In seguito all’accaduto, MamaChat, il primo ente europeo per le richieste d’aiuto via chat dedicato alle vittime di violenza, ha indetto una petizione sulla piattaforma Change.org al fine di garantire l’accesso 24 ore su 24 agli accompagnatori durante il parto e per tutto il periodo di degenza ospedaliera della mamma e del bambino.
Aprire le porte dei reparti ai partner e ai familiari è, però, solo un primo passo. La solitudine non è soltanto quella che si prova subito dopo aver dato alla luce un figlio, ma anche quella che si conosce successivamente al rientro a casa. Le fragilità che seguono il momento del parto sono molteplici, per questo è necessario che vengano implementate anche maggiori misure di sostegno post natale.
Conseguenze della violenza ostetrica sulla salute della mamma e del bambino.
Nelle settimane successive al parto, fino all’85% delle mamme esperisce una forma leggera e temporanea di depressione ansiosa chiamata maternity blues. Altre conoscono, invece, la depressione post partum, una condizione più grave, ma meno frequente, sebbene possa arrivare a interessare fino a 1 donna su 5.
Seppur gli studi siano ancora poco diffusi, le ricerche condotte negli ultimi anni hanno rilevato una stretta correlazione tra gli episodi di violenza ostetrica e il manifestarsi della depressione post partum. In primis, è stato osservato come il benessere psicologico della donna successivamente al parto sia profondamente influenzato dalle condizioni in cui è avvenuto il parto stesso e dalla qualità del supporto ricevuto dal personale ospedaliero e familiare.
“La violenza ostetrica espone le donne a molteplici fattori di rischio. Infatti, un parto difficoltoso o cruento può avere moltissime conseguenze sulla salute psicofisica della madre, con ripercussioni anche sul benessere del bambino. L’aver esperito un trauma in un momento tanto unico, delicato e carico di aspettative può aumentare esponenzialmente le possibilità di sviluppare una depressione post partum o portare all’insorgenza di un disturbo post traumatico da stress. Potrebbero, inoltre, verificarsi manifestazioni di ansia e panico o condotte disfunzionali. Il trauma può anche aggravare condizioni preesistenti o agire da fattore scatenante di disturbi quali anoressia, bipolarismo, disturbo ossessivo-compulsivo e abuso di sostanze. È, inoltre, molto comune che le donne vittime di episodi di violenza ostetrica maturino sentimenti di rabbia, svalutazione e autocolpevolizzazione per aver subito impotenti e non essere riuscite a tutelare i propri diritti e quelli del loro bambino. Nei casi più gravi, l’instabilità psichica ed emotiva causata dal trauma, potrebbe persino inficiare le capacità della donna di prendersi cura del neonato e compromettere la creazione di una relazione empatica tra madre e figlio. Infine, non è raro che nelle donne possa svilupparsi un senso di rifiuto verso la maternità al punto da portare alcune di loro a negarsi la possibilità di avere altri figli. Tutelare le madri significa, quindi, tutelare le nuove generazioni e il nostro futuro”, ha dichiarato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo.
Psicologia perinatale: un sostegno prezioso al benessere psicofisico di madre e figlio.
“In Italia, seppur il fenomeno sia ancora poco conosciuto e manchi una vera e propria legislazione in materia, non è raro che si verifichino casi di violenza ostetrica. Tuttavia, proprio per le conseguenze che questi episodi traumatici possono avere sulla salute delle madri e dei loro bambini, è fondamentale che si crei una coscienza diffusa del fenomeno. Il primo passo per eliminare questa forma di violenza è far sì che le donne acquisiscano maggiore consapevolezza dei propri diritti e che siano messe nelle condizioni di riconoscere i campanelli d’allarme di questo fenomeno e, soprattutto, non abbiano timore di far sentire la propria voce e denunciare, qualora necessario”, ha aggiunto la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
“Diventare madri è un’esperienza unica e straordinaria. Insieme alla gioia, possono però emergere anche incertezze, dubbi e paure. Per vivere al meglio la maternità è importante, per prima cosa, informarsi e prepararsi adeguatamente. In questo senso, i corsi preparto costituiscono una risorsa preziosissima. È, inoltre, fondamentale che ciascuna neomamma possa contare su una solida rete di sostegno, costituita da partner e familiari, ma anche dal personale sanitario coinvolto nel percorso nascita, quali ginecologi, ostetriche, consulenti dell’allattamento e pediatri. Tutte queste figure che orbitano attorno alla neomamma hanno il compito non solo di aiutarla nella gestione dei propri bisogni fisici e di quelli del bambino, ma anche di accoglierla, ascoltarla e comprenderla . Per poter vivere con più consapevolezza la maternità e i cambiamenti fisici ed emotivi ad essa connessi, può risultare molto utile rivolgersi a un professionista della salute mentale perinatale. La psicologia perinatale si occupa di promuovere e tutelare il benessere di mamma e bambino durante tutto il percorso nascita. Il servizio di psicologia online Unobravo può contare su di un’équipe di psicologi e psicoterapeuti specializzati in ambito perinatale e familiare. Oltre ad accompagnare la madre dalla gravidanza fino ai primi mesi di vita del bambino, il terapeuta può rivestire un ruolo cruciale in casi di violenza ostetrica. Sapere di non essere sola e di poter contare sul supporto di un esperto, può aiutare la neomamma a elaborare l’esperienza e gli eventuali traumi e riuscire, così, ad abbracciare e a vivere appieno, con gioia e consapevolezza quel viaggio meraviglioso che è la maternità“, ha concluso la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e Società Benefit Unobravo.