Da qualche anno il “Crowdfunding”, il finanziamento partecipativo, ha sperimentato nel mondo un notevole boom.
Letteralmente il termine viene dall’inglese: crowd, folla, e funding, finanziamento.
Si tratta do organizzare e trovare finanziamenti, tramite il Web, per qualsiasi forma di autoproduzione, ad esempio al fine di registrare un album o di lanciare una start-up.
Ma il sistema non è senza pericolo per chi ci investe, perché il rischio di fallimento è alto.
In Gran Bretagna, delle regole sul finanziamento partecipativo sono entrate in vigore nel mese di aprile, per proteggere gli investitori.
La Commissione europea ha avviato una consultazione, a fine 2013, sull’eventuale necessità di regolamentare il settore.
In Italia, esistono più di 50 piattaforme per il finanziamento partecipativo, il modello più diffuso è “reward-based”, ossia la partecipazione al finanziamento di un progetto in cambio un premio o di una specifica ricompensa non in denaro.
Altra forma è il “donation-based”, ossia si basa su donazioni fatte a fondo perduto.
In America, il sistema è diventato noto, dopo che Barack Obama ha pagato parte della sua campagna elettorale per la presidenza con i soldi donati dai suoi elettori.