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In Italia, donne ucraine al rischio di sfruttamento

A distanza di un anno dallo scoppio del conflitto, il sistema di accoglienza delle persone in fuga dall’Ucraina evidenzia alcune criticità e complessità. Sono soprattutto donne, con minori, che trovano ospitalità grazie alle reti della cosiddetta “accoglienza informale”. Dall’analisi dei bisogni sul territorio è emersa l’incapacità dei servizi pubblici di fornire risposte adeguate a bisogni tuttora in evoluzione mentre la difficoltà a reperire informazioni corrette, ad esempio in ambito lavorativo, espone soprattutto le donne al rischio di sfruttamento. Le rifugiate che necessitano di occupazione non si recano negli uffici pubblici perché non parlano italiano e non sono disponibili servizi di interpretariato o di mediazione linguistico-culturale. Inoltre, il carico di cura, il trasporto e la dimensione abitativa influiscono negativamente e, nonostante siano state disposte misure di supporto all’inserimento lavorativo, si continua a riscontrare l’inserimento di persone altamente qualificate in settori lavorativi a bassa tutela, come l’agricoltura e il lavoro domestico e di cura, tradizionalmente occupati da donne appartenenti alla comunità est-europea.

“Chi non ha conoscenze in città o non parla ancora l’italiano, spesso si trova bloccato senza informazioni chiare. Molte persone anche per una semplice procedura vengono sballottate da un punto all’altro, ricevendo informazioni sbagliate o semplicemente venendo rifiutate. Per affrontare tutto questo sono necessarie energia psicologica e resilienza, che chi è sottoposto a forte stress non sempre riesce a trovare dentro di sé. Molte sono state costrette a lasciare non solo le loro case, ma anche lavori, uffici, studi artistici. A volte, tutto questo è stato semplicemente distrutto. Nonostante ciò, molte donne sono pronte – o non hanno altra scelta che essere pronte – a ricominciare a costruire la loro vita, nella speranza che per i loro figli il futuro sia migliore. Tuttavia, per coloro che non hanno risparmi per un periodo di tempo sufficientemente lungo per studiare adeguatamente la lingua, il mercato del lavoro è estremamente limitato. Inoltre, avere figli piccoli ed essere sole rende quasi impossibile fare domanda per un lavoro a tempo pieno. Senza un contratto di lavoro, affittare un appartamento non sembra davvero fattibile. La sicurezza dei bambini è stata la motivazione principale che ha spinto le donne a fuggire pertanto, qualsiasi aiuto per risolvere i problemi di alloggio, soprattutto per le madri con bambini piccoli, è estremamente importante” testimonia Oksana Serdiuk, ucraina, psicologa di comunità per ActionAid Italia nell’ambito del progetto SWEET.

Un aspetto da considerare per quanto riguarda l’alloggio è il fatto che nella maggioranza dei casi le persone hanno scelto la sistemazione presso familiari o connazionali. Questa evidenza trova riscontro anche nella dashboard della Protezione Civile che quantifica le richieste di contributo di sostentamento concesso a coloro che, provenienti dall’Ucraina e con domanda di permesso di soggiorno per protezione temporanea, hanno trovato una sistemazione autonoma. Al 31 dicembre 2022 le richieste ricevute sono state 125.396: se dunque paragoniamo questo dato a quello delle persone che hanno presentato domanda di protezione temporanea emerge come almeno il 75% delle persone in fuga dal conflitto abbia scelto di vivere in autonomia. Ne dà conferma anche il recente rapporto di ActionAid e Openpolis, Centri d’Italia 2022, nel quale si sottolinea come solo il 10% delle persone in fuga dall’Ucraina risulti ospitato nel sistema di accoglienza istituzionale – a luglio erano poco più di 12mila nei Cas e poco più di mille nel Sai.

Dall’analisi di ActionAid è emersa anche una situazione di grave stress psico-fisico nelle persone in accoglienza: difficoltà di accesso, cambi di struttura frequenti e immotivati, poca chiarezza sul funzionamento dell’accoglienza e sui propri diritti, condizioni degli spazi non adeguati. Dall’altra parte il contesto abitativo è caratterizzato da un’offerta di alloggi ridotta, un mercato immobiliare informale e bassi standard delle abitazioni destinate alla popolazione migrante. Abitazioni che è possibile trovare, non avendo forme di garanzie sufficienti, soltanto attraverso la propria rete di contatti e la comunità di appartenenza.

“Il fatto di essere donne in una condizione sociale fragile aumenta il rischio di essere discriminate o di cadere in reti di sfruttamento. I servizi pubblici devono e possono svolgere un ruolo centrale nella tutela dei loro diritti per migliorare l’inserimento nelle comunità in cui esse risiedono. Per questo ActionAid è impegnata nel garantire spazi adeguati di partecipazione facilitando l’accesso alle informazioni e ai servizi, cercando soluzioni abitative sostenibili, contrastando prassi illegittime da parte degli uffici anagrafici e monitorando le condizioni abitative di quante hanno scelto il circuito di accoglienza formale del SAI, CAS e accoglienza diffusa della protezione civile” dichiara Daniela Capalbo, coordinatrice nazionale per ActionAid del progetto SWEET.

ActionAid ritiene infine necessario che gli Uffici immigrazione delle Questure del paese garantiscano il pieno diritto alla protezione temporanea e che si rafforzi la mediazione all’interno dei Centri per l’Impiego, della Scuola e dell’area welfare, promuovendo servizi rispondenti ai bisogni di genere e alle culture anche mediante il pieno impiego degli istituti della co-programmazione e co-progettazione tra gli enti di terzo settore e gli enti pubblici qualificabili come “amministrazioni pubbliche” ai sensi del d.lgs. n. 165/2001, in linea con il Codice del Terzo settore.

L’intervento di ActionAid in Italia. Con il progetto SWEET – Supporting Women in Emergency with Environnement of Trust ActionAid è stata fin da subito attiva nella città di Napoli, nell’arco ionico a Corigliano-Rossano (CS), Castrovillari (CS), Matera e a Corsico (Mi) valorizzando nella risposta all’emergenza le reti e le capacità delle donne ucraine, romene, bielorusse e russe già presenti nelle comunità di intervento. Oltre alla distribuzione di beni materiali di prima necessità ActionAid ha sostenuto le persone fornendo supporto socio-psicologico e gruppi di sostegno psicosociale e grazie agli sportelli di orientamento e al servizio di assistenza legale è stato facilitato l’accesso ai servizi pubblici come quelli sanitari, l’inserimento lavorativo, abitativo e, per i bambini, scolastico. Infine, è stata fornita mediazione linguistico-culturale e realizzati corsi di italiano. In totale l’organizzazione ha seguito nel percorso di inserimento 97 nuclei famigliari, per un totale di 201 persone, nell’Arco Ionico, 51 nuclei famigliari, inclusi 39 minori, a Napoli mentre a Corsico sono seguiti 25 nuclei e 119 sono quelli che hanno beneficiato dell’assistenza alimentare.

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