“Le donne sostengono l’altra metà del cielo”, recita l’antico proverbio cinese. Un cielo assai grigio quello femminile in questo nostro nuovo millennio che invoca sostenibilità e inclusione ma deve fare i conti con retaggi culturali stratificati e con una crisi economica e sociale post pandemica.
La disparità di genere costituisce uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile e alla crescita economica.
Nel programma di governo “la mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne” e il governo Draghi ha intenzione di impegnarsi in questa direzione.
Ma resta il fatto che, come giustamente l’ha definita Linda Laura Sabbadini, presidente dell’engagement group Women20 al G20 nell’audizione parlamentare a inizio febbraio, si tratti di un’emergenza nazionale. Nel 2020, a causa del Covid che ha colpito duramente alcuni settori dell’industria, sono stati persi 444mila posti di lavoro, di questi 312mila erano donne, facendo sprofondare il tasso di occupazione femminile, che già era tra i più bassi in Europa, al 48,6% (ISTAT 2020) contro il tasso medio europeo del 62,4%. Solo nel mese di dicembre le donne che hanno perso il lavoro sono state 99mila su un totale di 101mila nuovi disoccupati. Di questi il 60% è giovane, cioè ha un’età inferiore ai 34 anni.
Le donne del private banking che rappresentano il 10% della ricchezza totale
Se partiamo dal presupposto che la metà del Paese è donna, è evidente che marginalizzarla dal lavoro, dai processi decisionali, dalle sedi del potere, sia controproducente e dannoso per tutti: il cielo non si può dividere. Oggi meno del 10% di tutti i dirigenti e quadri occupati in aziende italiane è donna. Ed è chiaro come anche nel nostro settore sia necessario valorizzare il ruolo femminile.
Secondo le rilevazioni, il Private Banking gestisce quasi 1/3 del risparmio delle famiglie italiane, di cui circa 300 miliardi di euro fanno riferimento a donne, decisori finanziari individuali o capofamiglia che gestiscono il patrimonio finanziario familiare. Una cifra considerevole e sorprendente per chi è abituato a pensare che la gestione dei grandi patrimoni sia riservata a capofamiglia di genere maschile. Si tratta del 10% della ricchezza finanziaria privata complessiva del nostro Paese, se consideriamo solo il segmento servito dal Private Banking la percentuale sale al 35%. In un mondo in cui le donne sono fortemente sottorappresentate in tutti i settori, esse rappresentano un terzo del patrimonio gestito dal settore del private banking: addirittura più di quanto siano le masse servite dal private banking riconducibili al segmento di “imprenditori”, che pesa invece per il 20%. Questo peso considerevole delle donne nella detenzione dei patrimoni privati italiani inserisce il Private Banking tra i settori chiamati a riflettere sulla questione femminile.
La disparità di genere un freno agli investimenti in economia reale
Se la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro farebbe aumentare il Pil globale di 28 trilioni di dollari (McKinsey) gli effetti di politiche e scelte positive per aumentare l’occupazione femminile potrebbe avere effetti estremamente più rilevanti di politiche attive generiche. Più donne al lavoro, più donne in posti chiave, con ruoli professionali di responsabilità andrebbe naturalmente ad aumentare anche il peso delle donne che investono in economia reale, con effetti a cascata su tutto il sistema. Le nostre analisi ci dicono, che se il rilancio dell’economia può trovare nel risparmio privato un valido sostegno, l’investitore donna può dare un contributo assai rilevante, va protetto e reso più rappresentativo. Come industria abbiamo il dovere di conoscere e servire al meglio i profili della clientela femminile, così come hanno imparato a farlo il settore della moda e della grande distribuzione.
Le azioni per ridurre il divario di genere e aumentare l’occupazione femminile a tutti i livelli
Anche come Paese abbiamo il dovere di stimolare l’espressione del potenziale femminile. Dati alla mano, vivono 24 milioni di donne in Italia in età per lavorare, di queste solo il 37% occupate. Le donne laureate, seppure di numero largamente inferiore alla media europee, sono in numero maggiore rispetto agli uomini (22,7% contro il 17%) e, spesso, sebbene scelgano in misura minore gli studi cosiddetti Stem, privilegiano quelli in giurisprudenza ed economia, risultando più colte, quindi, da un punto di vista economico. Non possiamo permetterci di disperdere questo capitale. Siamo di fronte ad una piramide che vede la presenza al vertice ampliarsi lentamente anche grazie al contributo della legge Golfo Mosca che ha introdotto le quote rosa, ma al tempo stesso assottigliarsi sotto, lasciando spopolate le fasce intermedie e alla base. È necessario, oggi più di ieri, sostenere e favorire la crescita della metà del nostro Paese per il futuro di tutti.
L’obiettivo dovrebbe essere perseguito prendendo in considerazione svariati aspetti della realtà italiana che fanno, ad esempio, capo a ministeri differenti. Mi riferisco in primis a quello del Lavoro, dello Sviluppo Economico, dell’Istruzione e Università, dell’Economia e naturalmente delle Pari Opportunità, un approccio olistico che implica una visione strategica e con un punto di sintesi al più alto livello. Un progetto con obiettivi precisi, misurabili e con momenti di verifica anche ravvicinati per non trovarci tra alcuni anni al punto di partenza. Ricordo che l’Agenda di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione femminile nell’Unione Europea oltre il 60% nel 2010.
Le azioni per farlo sono pratiche e culturali. Nel discorso programmatico il presidente Draghi si è espresso chiaramente “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto delle quote rose: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra genere”: non possiamo che essere d’accordo ad auspicare che gli effetti pratici delle linee guida indicate dal Governo siano rapidi incisivi e duraturi. Ma servono norme positive per superare gli stigmi e i limiti di accesso al mercato del lavoro e alla carriera.
Le principali direttrici sono:
1. il riequilibrio del gap salariale. Un divario che il nostro governo ha citato espressamente cogliendo secondo noi l’essenza del problema. Non è la mancanza di servizi di cura a tenere le donne lontane dal mercato del lavoro, ma una divisione dei compiti squilibrata all’interno della famiglia che può essere risolta solo con la parità delle retribuzioni. Già prestigiosi economisti come Alberto Alesina e Andrea Ichino, (L’Italia fatta in casa. Indagine sulla vera ricchezza degli italiani Strade blu. Non Fiction) ravvisarono, nel 2011, in questo divario l’origine della scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro e ipotizzarono che la rimodulazione della pressione fiscale e favore delle donne potesse riequilibrarlo.
2.L’incentivazione all’imprenditoria femminile. Il manifesto “Donne per la salvezza – Idee per una ripartenza alla pari”, nato nell’ambito della campagna europea lanciata a fine 2020 “Half of it” per destinare metà delle risorse UE next generation alle donne – che abbiamo avuto modo di apprezzare e condividere – individua strumenti utili, come: la riduzione di aliquote, finanziamenti agevolati, fondi per il rilancio delle imprese femminili esistenti, fondi per le imprese che si impegnano a migliorare l’equilibrio di genere.
3.La promozione di una cultura ed educazione economica e finanziaria. Divario di genere e bassa educazione finanziaria vanno affrontati congiuntamente, prevedendo percorsi formativi di consulenza e informazione per avvicinare sempre più l’universo femminile ad una partecipazione attiva della gestione del risparmio familiare in un’ottica di medio-lungo termine. Un’evoluzione che prevediamo possa interessare tutta l’industria del private banking se vorrà intercettare risorse e patrimoni da servire.
da AIPB Associazione che riunisce i principali operatori nazionali e internazionali del Private Banking