Tsunami, dieci anni dopo

A 10 anni dallo tsunami che il 26 dicembre del 2004 si è abbattuto sull’area
costiera del Sud Est Asiatico e dell’Asia meridionale causando 230 mila vittime e
dispersi e 18 milioni di sfollati tra Indonesia, Thailandia, Sri Lanka e India, Save
the Children – l’Organizzazione che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e
difendere i loro diritti – ha raccolto alcune testimonianze nelle comunità colpite,
in particolare nello Sri Lanka e nella provincia di Banda Aceh in Indonesia, sulla
ricostruzione e sulle misure preventive per poter far fronte ad altre possibili
catastrofi naturali.

Tra le voci raccolte nel rapporto “Tsunami, dieci anni dopo. Storie di cambiamento”
diffuso oggi da Save the Children, che in risposta allo Tsunami ha lanciato il più
ampio intervento umanitario della sua storia grazie al quale ha raggiunto tra il
2004 e il 2009 oltre 1 milione di persone in più di 1000 città e villaggi in
Indonesia, Sri Lanka, India, Thailandia e Somalia,c’è quella diIbu, da 30 anni
insegnante in una delle scuole elementari di Banda Aceh. La Provincia indonesiana è
stata la più colpita, con oltre 166 mila morti e dispersi e più di mezzo milione di
persone senza casa. La scuola di Ibu è una di quelle ricostruite da Save the
Children nell’ambito dei programmi di Educazione.

“Abbiamo sentito il terremoto e poi un’esplosione. I bambini sono fuggiti
all’esterno, urlando e chiedendo aiuto. Il mare si alzava verso la terra”, racconta
Ibu. “Siamo tornati dopo due giorni per capire cosa fosse rimasto della scuola e
intorno a noi c’erano solo cadaveri. Erano bambini che abitavano nei dintorni e
abbiamo cercato nei loro zainetti per cercare di capire chi fossero e riconsegnare
i corpi alle loro famiglie. Ricordo ancora cosa provai in quei momenti. Mio figlio
era con me e ancora oggi non riesco ad immaginare come possa essersi sentito a
vedere lì i corpi dei suoi amici”.

“Prima dello tsunami, gli studenti della nostra scuola erano 125, dopo ne sono
rimasti 75. La comunità si è ridistribuita diversamente sul territorio, la maggior
parte delle persone non aveva un posto dove vivere. Molti stavano in una caserma. I
bambini sono stati ospitati da Save the Children e sono potuti tornare a scuola. Per
un anno abbiamo insegnato dentro una tenda, ma abbiamo potuto avere sostegno
dall’Organizzazione, che ha dato ai bambini kit per studiare e cibo e a noi
insegnanti una formazione per affrontare la nuova situazione così difficile”,
racconta ancora Ibu.

“Quando la scuola è stata ricostruita, sono state aggiunte altre tre aule a quelle
che avevamo prima dello Tsunami. È stato ricostruito il cortile, che spesso prima
era allagato. Oggi abbiamo una scuola migliore e i bambini sono felici perché hanno
una scuola più bella di quella di prima. Questa scuola – con la benedizione di Dio –
può resistere al terremoto Ora siamo più sereni”, conclude Ibu.

I programmi di educazione di Save the Children comprendono la formazione e la
sensibilizzazione sulle misure preventive in caso di nuove catastrofi naturali, con
il coinvolgimento attivo dei bambini.

“I bambini sono i più vulnerabili in caso di disastro e per questo è necessario che
siano informati su come mettersi in sicurezza in caso di pericolo. Per questo motivo
Save the Children – dopo l’intervento di prima emergenza – ha introdotto un
programma scolastico di ampio respiro in cui i bambini stessi insegnano ai loro
coetanei le migliori procedure di sicurezza e le pratiche di evacuazione in caso di
catastrofe”, afferma Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia.
“Il lavoro che abbiamo fatto in questi dieci anni dopo lo tsunami ci ha insegnato
che è fondamentale rendere le persone protagoniste delle loro scelte per il futuro e
per questo abbiamo cercato di coinvolgere le comunità, non rendendole sono
destinatarie passive degli aiuti”.

Come evidenziano le testimonianze raccolte nel rapporto, tutti ritengono
fondamentali gli investimenti nella riduzione dell’impatto delle catastrofi. Sia in
Sri Lanka che Indonesia sono stati fatti importanti passi avanti in termini di
rafforzamento della politica di gestione delle catastrofi, sono state fatte
modifiche strutturali nelle abitazioni private e negli edifici pubblici per
consentire loro di resistere a disastri in futuro, ed è stato predisposto un sistema
di allarme rapido per l’evacuazione in caso di tsunami. Si tratta di investimenti
che rappresentano un reale cambiamento, e a livello comunitario oggi vi è una
maggiore consapevolezza su cosa fare in caso di un disastro.

Oltre agli interventi legati alla primissima emergenza alimentare, abitativa e
sanitaria e, in un secondo tempo, alla ricostruzione, Save the Children ha
realizzato programmi specifici di protezione dei minori. Subito dopo lo tsunami,
molti bambini sono rimasti soli, separati dalle loro famiglie, spesso senza sapere
se genitori, fratelli, sorelle o altri parenti erano ancora vivi. In alcune aree di
Indonesia e Sri Lanka, in particolare, l’Organizzazione ha rapidamente predisposto
spazi sicuri e strutture di accoglienza per bambini e adolescenti, con un supporto
psicologico dedicato, e attivandosi per rintracciare, ove possibile, i familiari
all’interno dei centri per gli sfollati e in collaborazione con le Autorità, ha
realizzato la riunificazione di 1300 bambini con loro parenti sopravissuti.


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