Servizi sanitari: quando curarsi diventa rischioso

Nel 2015, sono stati 571 mila i decessi riconducibili ai servizi sanitari nell’Unione Europea, morti che si sarebbero potute evitare se i sanitari avessero agito in modo diverso. In gergo tecnico, si parla di “amenable mortality”, concetto che indica quei casi in cui, dopo una valutazione fatta alla luce delle conoscenze mediche e della tecnologia esistente, si giunge alla conclusione che un’assistenza sanitaria specifica di buona qualità, avrebbe potuto evitare la morte del paziente. Le rilevazioni del 2015 diffuse da Eurostat, rappresentano il dato ufficiale più recente, ma, osservando il fenomeno attraverso dati locali, la tendenza sembra essere rimasta stabile anche negli ultimi anni.
A livello nazionale, il Rapporto Osservasalute 2018, pubblicato nel maggio scorso, afferma che in Italia i casi di amenable mortality nel biennio 2014-2015 sono stati circa 69,83 per 100 mila abitanti, in diminuzione di circa il 4% rispetto al biennio precedente. Ciò vuol dire che, in media, ogni 100 mila persone residenti in Italia, quasi 70 rischiano di morire dopo essersi recati in ospedale per un livello inadeguato di assistenza medica.
La situazione, però, non è omogenea in tutto il territorio nazionale. Il Trentino-Alto Adige sembra essere la regione più virtuosa, con la provincia autonoma di Trento che registra poco più di 50 casi ogni 100 mila persone e quella di Bolzano, a quota 57 circa ogni 100 mila. Nella classifica delle migliori, subito dopo si piazzano a parimerito Marche e Toscana (poco più di 59 ogni 100 mila). Appena fuori dal podio, l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Lombardia, rispettivamente a quota 60, 61 e 63 persone ogni 100 mila.
Decisamente più preoccupante la situazione nel Sud della Penisola, che registra un livello qualitativo dell’assistenza ospedaliera al di sotto della media nazionale, e decisamente molto distante rispetto alle regioni del nord. La maglia nera della sanità va alla Campania, che tocca i 90 decessi riconducibili ai servizi sanitari ogni 100 mila abitanti, distaccandosi dal dato di riferimento nazionale di poco più di 20 punti e addirittura di 40 dal dato di Trento, di 36.5 se si prende come riferimento l’intera area del Trentino-Alto Adige. Leggermente migliore, seppur sempre critica, la situazione in Sicilia (quasi 85) e Calabria (circa 83).
Anche il Lazio, regione in cui si trova la Capitale d’Italia e alcuni dei centri di cura più noti a livello nazionale, presso i quali si recano molti dei cittadini delle Regioni del Sud, per avere un’assistenza e delle cure qualitativamente superiori, si attesta al di sopra della media di riferimento, con 76 decessi ogni 100 mila persone, un’incidenza superiore a quella di Puglia (72) o Basilicata (poco sopra i 70).
Quello alla salute è uno dei diritti fondamentali, sancito dall’articolo 32 della Costituzione Italiana. Non è accettabile, pertanto, che un paziente ricoverato in un Ospedale in Campania, rispetto ad uno ricoverato in Provincia di Trento, abbia, a parità di condizioni patologiche, quasi il doppio delle possibilità di non uscirne vivo. – Ha dichiarato l’Avvocato Gabriele Chiarini, esperto in malpractice medico-sanitaria. – È sicuramente auspicabile che si intervenga a livello centrale quanto prima, al fine di uniformare e migliorare la situazione in molte Regioni, in cui un ricovero in ospedale può essere un vero e proprio rischio per la vita.”
L’essere umano è fallibile, e gli errori accadono in tutti gli ambiti professionali, anche in quello medico. – Prosegue l’Avvocato Chiarini – In questo caso, la discriminante è rappresentata dal fatto di aver messo in atto di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie, nonché all’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative di ogni Azienda Sanitaria. Ciò non solo per scongiurare richieste di risarcimento danni da “malasanità”, ma soprattutto al fine di attuare pienamente il principio di sicurezza delle cure, parte costitutiva del diritto alla salute e deve essere perseguito nell’interesse dell’individuo e della collettività, come previsto dalla nostra Carta Costituzionale e dalla recente legge Gelli (l. 8 marzo 2017, n. 24).”

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