A cura di Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm
Valutare i risultati della politica economica dell’amministrazione Biden, la cui eredità Kamala Harris è chiamata oggi a raccogliere, non è affatto semplice. L’emergenza pandemica ha infatti portato i democratici ad adottare politiche ultra-espansive, aumentando la spesa pubblica a livelli elevati, soprattutto nei primi anni di mandato (oltre il 40% del PIL nel 2021). Questo ha permesso al governo di guidare attivamente la ripresa economica, come confermano i dati macro: la crescita economica è migliorata anno dopo anno (+1,9% nel 2022, +2,5% nel 2023 e una proiezione del +2,7% nel 2024 secondo il FMI), la disoccupazione è scesa ulteriormente rispetto ai livelli già bassi a cui si trovava, i salari reali sono aumentati e l’inflazione è tornata gestibile senza innescare una recessione. Infine, il mercato azionario Usa è cresciuto a una media di oltre l’11% annuo.
Eppure, la valutazione dei cittadini americani sullo stato di salute dell’economia resta negativa, con il 66% della popolazione che si sente più povero rispetto al 2022. Una percezione particolarmente forte tra la classe media e i lavoratori meno specializzati, che devono sgomitare per mantenersi competitivi in un mercato del lavoro che richiede sempre più qualifiche, mobilità e sacrifici. È proprio a questi elettori che è rivolto il messaggio economico di Kamala Harris, alla ricerca di una narrativa alternativa rispetto a quella securitaria di Trump, che potrebbe essere riassunta nella cosiddetta “opportunity economy”.
Si tratta di una combinazione tra misure assistenziali a sostegno del ceto medio-basso, interventi per la classe media e le piccole imprese volti ad incrementare la produttività e politiche correttive e redistributive per limitare gli eccessi di potere delle grandi imprese. Molte delle politiche simbolo di Harris rappresentano un’evoluzione delle iniziative post-pandemia, in un rapporto di continuità con l’amministrazione Biden e in netta contrapposizione con il programma di Trump, che punta su sostanziali tagli fiscali e sulla spesa per stimolare la crescita. Per quanto riguarda la politica commerciale, il nuovo paradigma democratico è esemplificato da posizioni moderatamente protezionistiche, ben rappresentate dai dazi imposti da Biden sulle auto elettriche cinesi. Una scelta equidistante tra il protezionismo estremo di Trump e la politica di Obama, che con la Cina voleva firmare un accordo commerciale (il Trans-Pacific Partnership Agreement), a cui Harris si oppose quando era senatrice della California.
Il programma economico
Harris ha preso molto dal programma economico di Joe Biden, facendo importanti integrazioni con l’obiettivo di affrontare alcune delle tematiche più urgenti per gli investitori, come l’inflazione, il caro abitazioni e gli eccessivi costi per mettere su famiglia. Si va dal supporto alle pmi attraverso l’aumento di dieci volte del credito d’imposta per le nuove attività, con l’obiettivo di raggiungere i 25 milioni di nuove aziende create nei primi due anni di mandato, all’impegno contro la “speculazione sui prezzi” dei generi alimentari, conferendo a delle agenzie governative l’autorità di intervenire contro eventuali aumenti indiscriminati in momenti di emergenza. Un’altra proposta chiave del pacchetto democratico è un credito d’imposta da 6.000 dollari per i neonati, insieme a uno da 3.600 dollari per i figli successivi delle famiglie meno abbienti, già introdotto da Biden in seguito alla pandemia. Harris intende anche ampliare l’Earned Income Tax Credit per i lavoratori con redditi bassi, portando il massimale da 600 a 1.500 dollari e allargare i criteri per ricevere lo sconto. La candidata democratica si è inoltre impegnata a mantenere la promessa fatta da Biden di estendere tutti gli sgravi fiscali già in vigore (senza quindi alzare le tasse) per le famiglie con redditi pari o inferiori a 400.000 dollari annui. Per quanto riguarda le politiche abitative, Harris propone un finanziamento di 25.000 dollari per supportare i pagamenti iniziali per la prima casa. Inoltre, promette la costruzione di 3 milioni di nuove unità abitative, anche attraverso nuovi incentivi fiscali e un fondo da 40 miliardi di dollari per finanziare le iniziative degli enti locali. Sempre per implementare il numero di abitazioni, Harris si è anche impegnata a eliminare gli sgravi fiscali per coloro che acquistano immobili in blocco per affittarli[5]. Le politiche abitative vanno a toccare un tema centrale per l’elettorato, soprattutto da quando l’impennata dei prezzi immobiliari ha aumentato il divario economico tra proprietari e affittuari.
L’aumento delle tasse
La distanza tra la politica economica di Harris e quella di Trump è evidente soprattutto quando si guarda alla diversa modalità di finanziamento dei due programmi elettorali. Secondo il Committee for a Responsible Federal Budget, l’insieme delle misure proposte dalla candidata democratica costerebbe oltre 700 miliardi di dollari all’anno. I finanziamenti arriverebbero in gran parte da un aumento delle tasse sulle imprese e sui grandi patrimoni. Harris ha promesso di aumentare sia l’aliquota dell’imposta sulle società al 28% (aliquota che Trump vorrebbe abbassare sino al 15%), sia l’aliquota finale sulle plusvalenze a lungo termine per le famiglie con reddito superiore al milione di dollari al 33%, allo stesso livello dove si trovava negli anni ’70. La prima proposta è in linea con quanto sostenuto dall’amministrazione Biden, mentre la seconda rappresenta una piccola marcia indietro rispetto al 39,6% proposto in precedenza[6]. Come Biden, anche Harris vorrebbe imporre un’aliquota fiscale minima effettiva del 25% sui redditi annuali delle famiglie con un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari, comprese le plusvalenze non realizzate sul loro patrimonio.
Si tratta di proposte che, seppur mirate alle aziende e ai ceti più abbienti, presterebbero il fianco all’argomento repubblicano secondo cui Harris danneggerebbe l’economia con l’aumento delle tasse. Secondo i sostenitori democratici si tratta, invece, di un approccio pragmatico e responsabile, fatto di interventi mirati a favore della classe media e delle piccole imprese. Non mancano i critici: secondo alcuni, il programma di Harris è poco coraggioso e non abbastanza radicale; per altri, è un dispendio di risorse orientato più dai sondaggi che da una visione coerente, destinato ad aumentare la spesa pubblica in modo inefficace, alzando le tasse sulle imprese senza introdurre misure fondamentali per una riforma strutturale, una sorta di Bidenomics in riduzione.