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Antiebraismo, antisemitismo, antisionismo

I tre concetti hanno contenuti molto diversi, in genere contrastanti, e tuttavia tutti e tre hanno in pratica lo stesso esito: la lotta contro gli ebrei. Analizziamo i tre concetti

Antiebraismo

Il primo concetto che appare nella storia e che è durato quasi due millenni è l’antiebraismo. Esso è un fenomeno di natura religiosa: gli ebrei sono considerati coloro che non accettano la Rivelazione cristiana. Non essendo cristiani, non conoscono il vero bene, non sono nella grazia di Dio e sono quindi considerati malvagi. Questo stesso concetto era applicato agli aderenti ad altre  religioni diverse da quella cristiana, soprattutto ai musulmani, che erano quelli più conosciuti.

Anche nei modi di dire dialettali, “turco” (cioè musulmano) stava per “malvagio e mancante di carità”. Nei Malavoglia di Verga, la popolana dice che “non siamo tra i turchi” per indicare che non siamo mancanti di carità e solidarietà.

Un esempio molto chiaro di questo atteggiamento lo possiamo vedere illustrato da Shakespeare nel Mercante di Venezia: il mercante ebreo è rappresentato come la malvagità e la ferocia, contrapposto alla virtù del mercante cristiano, mentre l’eroina è la figlia ebrea che tradisce il padre, contro l’ordine naturale della vita. Poiché si credeva che la VERA religione cristiana coincidesse con il bene, la lotta era tra il bene (il mercante cristiano) e il male (l’ebreo). La figlia che ha la forza di abbandonare il padre (il male) per aderire al bene diventa allora l’esempio da seguire.

Non si trattava di una questione di razza (genetica) ma di religione, per cui un ebreo convertito non era più ebreo ma diventava cristiano. D’altronde, gli ebrei erano considerati pur sempre il popolo prediletto da Dio, e anche Gesù, la Madonna e gli apostoli erano ebrei.

Questo atteggiamento si è ormai del tutto perso: quasi nessuno oggi sosterrebbe una cosa del genere perché la mentalità cristiana si è radicalmente evoluta in direzione della tolleranza, comprensione e, anzi, collaborazione con le altre religioni. E stata soppressa anche ad esempio nelle celebrazione del Venerdi Santo la locuzioni “perfidi ebrei”

Antisemitismo

Nell’Ottocento, invece, iniziò l’antisemitismo, che è una cosa del tutto diversa. Esso nacque con l’emergere dei nazionalismi più o meno esasperati. Uno stato veniva a coincidere con una nazione, cioè con una comunità di lingua e civiltà. Ora, il fatto che gli ebrei fossero una nazione dispersa in vari stati finiva per essere incompatibile con l’identificazione stato-nazione.

Un esempio significativo è il caso Dreyfus. Dreyfus, ufficiale dell’esercito francese, aveva comunque congiunti in Germania: poteva allora considerarsi un vero francese? Sembrava allora inaffidabile e le accuse di spionaggio a favore della Germania sembravano molto probabili, da cui la condanna, contestata poi dal famoso “J’accuse” di Zola.

Insomma, l’ebreo veniva visto come uno straniero, anche se nato nel paese e residente da molte generazioni, perché non faceva parte della comunità nazionale (l’ebreo errante).

L’antisemitismo vero e proprio, però, nasce quando si passa a considerare la nazionalità come un fatto genetico, sfociando nel razzismo, portato poi alle estreme e folli conseguenze dal nazismo. L’ebreo diventa allora un nemico dell’umanità e, in particolare, della razza ariana: una sorta di infezione, dei sottouomini. Inizialmente, si pensò alla cacciata dal paese e quindi a una possibile deportazione in altri luoghi (si parlò, in modo bizzarro, del Madagascar): in qualche modo, gli antisemiti sostenevano quello che si chiamò poi sionismo, cioè l’idea di una patria separata per gli ebrei.

In seguito, però, anche per l’impossibilità pratica di una soluzione del genere, si finì con la “soluzione finale”, ovvero l’eliminazione fisica dell’intera popolazione ebraica, che portò alla morte di circa 6 milioni di ebrei.

Si tratta quindi di una concezione assolutamente diversa da quella dell’antiebraismo. La malvagità degli ebrei non dipendeva più da un fatto religioso ma genetico: non importava se gli ebrei mantenessero la loro religione, si convertissero al cristianesimo o non seguissero nessuna religione, che era il caso più comune all’epoca.

Questa concezione è ormai tramontata. Può essere ancora sostenuta da qualche sparuto gruppetto neonazista, ma le estreme e assurde conseguenze a cui fu portata dal nazismo l’hanno praticamente fatta sparire dalla storia.

Va notato che l’antisemitismo è sconosciuto nel mondo arabo, che non ha mai conosciuto né il razzismo né il nazionalismo esasperato (tranne forse in Turchia). La sunna islamica rappresenta una comunità di fedeli senza differenza di razza o nazionalità. Gli ebrei, come i cristiani, sono considerati Ahl al-Kitab (la gente del libro), i quali possono seguire la loro religione o convertirsi all’Islam, nel qual caso sono accolti senza alcun pregiudizio, così come avveniva nel mondo cristiano.

Antisionismo

Il sionismo è l’idea della formazione di una comunità ebraica nella terra originaria, la Palestina (Sion è l’antico nome di Gerusalemme). In realtà, nella storia, in Palestina si erano sempre formate piccole comunità di ebrei. Il ritorno alla terra promessa era motivato soprattutto dal desiderio di ritrovare la propria identità nazionale. Nell’epoca del positivismo, infatti, la maggioranza degli ebrei di estrazione borghese aveva abbandonato le credenze religiose e si stava sempre più integrando nelle comunità nazionali in cui vivevano. Nella Prima Guerra Mondiale, avevano partecipato ai nazionalismi travolgenti delle varie nazioni e combattuto in eserciti contrapposti. In questo modo, quindi, nel corso di qualche generazione, l’identità ebraica sarebbe potuta sparire. Si pensò allora a quello che fu definito un focolare (home) ebraico (non uno stato) in Palestina, e un certo numero di ebrei effettivamente si trasferirono in Palestina.

Le terribili persecuzioni del nazismo e la Shoah cambiarono però del tutto la prospettiva: gli ebrei si trasferirono in Palestina non per non farsi assorbire, ma per sentirsi sicuri, per non dipendere più dalla benevolenza di principi e popoli come era avvenuto per millenni. Si formò quindi lo Stato di Israele, cioè dei discendenti di Israele (Giacobbe, come diciamo comunemente), un popolo quindi, non una religione.

Con il sionismo nacque quindi anche l’antisionismo. Innanzitutto, gli ebrei si stabilirono in una terra abitata da arabi che, ovviamente, non accettarono la situazione. Da qui, un conflitto infinito che dura ormai da 75  anni e che, in questi mesi, ha avuto un’evoluzione sempre più tragica e sanguinosa.

Anche in Europa nasce l’antisionismo. Dalla sinistra estrema si considera Israele uno strumento, un’avanguardia del colonialismo, anche se non si capisce in che modo Israele potrebbe favorire il dominio dell’Occidente; anzi, è certamente una grande difficoltà di rapporto per gli occidentali con gli arabi. L’idea si è diffusa anche nei paesi arabi che vedono Israele come una punta di diamante degli USA, per cui la lotta contro il sionismo viene a porsi come una lotta all’Occidente (contro il grande satana e i piccoli satani, secondo la teoria di Khomeini).

In effetti, però, la religione non è affatto il collante di Israele. La maggioranza degli israeliani non è affatto credente, anche se negli ultimi tempi il numero degli integralisti è aumentato, soprattutto perché hanno alti tassi di natalità. Ma comunque nessuno identifica oggi un israeliano come un credente in quella religione.

Attualmente, la religione ebraica è formata da un gran numero di correnti e sette, e per questo è difficile definirne i caratteri: ci sono quelli che pensano che Dio ha dato loro la Palestina e quelli che lo ritengono invece illecito. Ricordano un po’ le sette evangeliche americane: c’è tutto e il contrario di tutto.

L’antisionismo, pertanto, è cosa del tutto diversa dall’antisemitismo e dall’antiebraismo. Non si tratta di un fatto religioso, né di un fatto genetico o razziale, ma di un fatto politico. Gli israeliani sono visti come invasori, espressione dell’Occidente, che vanno quindi ricacciati, e la Palestina deve essere liberata dal Giordano al mare, cioè Israele deve essere distrutta.

Poiché, però, in generale gli ebrei di tutto il mondo sostengono l’esistenza di Israele, allora la lotta è anche contro tutti gli ebrei. È vero che non tutti gli ebrei appoggiano oggi Israele, ma è importante chiarire che essere contrari a certe scelte politiche di un qualunque governo israeliano non significa essere contrari all’esistenza di Israele, che è appunto il sionismo.

Esistono però dei piccoli gruppi ebraici contrari proprio all’esistenza di Israele, in genere per motivi religiosi. I più famosi sono i Neturei Karta, che, secondo una particolare interpretazione degli scritti biblici, ritengono che non sarebbe lecito formare uno Stato di ebrei.

In conclusione, diciamo che l’antiebraismo era un fatto religioso, l’antisemitismo un fatto razziale, e l’antisionismo un fatto politico, ma comunque in tutti e tre i casi, in effetti, i malvagi da combattere finiscono con l’essere gli ebrei in generale.

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