Alzi la mano chi non ne ha mai sofferto. Quel dolore che ti prende al risveglio e che magari si protrae e ti rovina tutta la giornata. Può partire dal collo, dalla tristemente famosa “cervicale” e irradiarsi verso il basso, seguendo il percorso della colonna vertebrale e relative innervazioni. Ancora, può partire direttamente dalla zona lombare, e allora si parla di “dolore lombosciatico”. Inquadramento non diagnostico, ma bensì sintomatico. Perché quello che noi chiamiamo banalmente, da sempre, “mal di schiena” e i paesi anglofoni “back pain”, può avere cause e soluzioni diverse, non tutte, necessariamente, di pertinenza del cardiochirurgo. Per un altro verso, il mal di schiena rimane ancora, nella percezione popolare ma pure per molti medici, qualcosa di “misterioso”, su cui non c’è una vera teoria fisiopatologica e per il qualche spesso si propongono soluzioni palliative. Più di 600 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di dolore in questa parte del corpo. Sulle tracce del mal di schiena però con una idea innovativa riguardo le cause e, di conseguenza, le possibili cure e trattamenti, si è messo il prof. Luigi Tesio, con il suo nuovo libro Il dolore lombosciatico. Un nuovo modello patogenetico e principi di trattamento (Il Pensiero Scientifico Editore). L’autore è primario fisiatra, Direttore del Dipartimento di Scienze Neuro-riabilitative e del Laboratorio di Ricerche di Riabilitazione Neuromotoria dell’Auxologico, già Professore Ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Milano.
Prof. Tesio, livello popolare si pensa che ormai si sappia tutto del “mal di schiena”, ma il suo libro mostra che invece vi sono aspetti fisiopatologici molteplici e a volte pure complessi da prendere in considerazione. Ci vuole spiegare?
“L’idea dominante sul meccanismo che porta a varie forme di “mal di schiena” e “sciatica” è quella di una compressione su terminazioni nervose all’interno del canale vertebrale lombare. L’ idea è ferma alla scoperta dell’ernia del disco nel 1937 e dell’artrosi che restringe il canale vertebrale nel 1954. Questo meccanismo è semplicistico e non spiega molti paradossi apparenti: per esempio, il dolore dopo il riposo a letto o seduti; la scarsa corrispondenza fra dolore e immagini TAC o in risonanza magnetica nucleare; l’andamento capriccioso dei sintomi che prevedono recidive dopo periodi di recupero spontaneo, e altre ancora. Fino ad ora è stato trascurato un elemento fondamentale nella genesi del dolore, e cioè la dilatazione del particolare plesso venoso che riveste dall’interno il canale vertebrale. Il plesso porta il nome di Oscar Batson che lo ha scoperto nel 1940 ma soltanto nel 1991 ho potuto segnalare il suo possibile ruolo nel dolore lombosciatico, e da allora in poi sviluppare terapie coerenti con questa ipotesi. Queste vene si possono dilatare facilmente (per una compressione da ernia discale o anche soltanto per un colpo di tosse). Le veno possono quindi dare “ingombro” localmente ma poi si possono infiammare se il sangue al loro interno ristagna. In sostanza si generano varici e vere e proprie flebiti che -all’interno di uno spazio osseo molto ristretto- spiegano molte caratteristiche del “mal di schiena” inspiegabili se si pensa soltanto all’ernia del disco o all’artrosi lombare”.
Quale è l’epidemiologia del dolore lombosciatico?
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’OMS, stima che nel corso della vita oltre l’80% delle persone presenteranno almeno un episodio di mal di schiena e che in qualsiasi momento un sondaggio rivelerebbe che circa una persona su 5 ne soffra in varia misura. La condizione non è certo fra quelle che minacciano la sopravvivenza, anche se può essere molto invalidante. Tuttavia la diffusione della sindrome è tale da farne un problema epidemiologico di prima grandezza. Per esempio, poiché essa colpisce prevalentemente adulti dai 35 anni in su e non soltanto anziani, il “mal di schiena” è fra le prime cause di assenza lavorativa e comunque -come certifica l’OMS- è la condizione di salute che “consuma” risorse riabilitative più di ogni altra nel mondo”.
Le nuove tecnologie, unite alla competenza clinica, possono venire in soccorso nell’affrontare in problema? In che modo?
“La diagnostica per immagini (TAC e soprattutto Risonanza Magnetica Nucleare) ha dimostrato che quasi sempre esistono alterazioni nel canale vertebrale di una pziente con dolore lombare o sciatico, sfatando il mito di un’ origine esclusivamente “posturale” o genericamente “infiammatoria-nevritica” del problema. Tuttavia la sensibilità di queste tecniche è perfino eccessiva: modeste alterazioni anatomiche (protrusioni discali, artrosi vertebrale) sono quasi la regola anche in persone del tutto asintomatiche. Di conseguenza il prossimo passo sarà quello di integrare le immagini “classiche” con uno studio del plesso venoso epidurale (un risultato ancora molto difficile da raggiungere). Soprattutto, diventa importante interpretare le immagini alla luce dei sintomi e dell’ esame clinico: argomenti sui quali ho cercato di dare indicazioni semplici e chiare nel mio libro. Le tecniche terapeutiche conservative (esercizi di vario tipo, terapie fisiche strumentali, farmaci) non richiedono grandi innovazioni rispetto a quelle disponibili ma soltanto una scelta razionale fra le molte decine disponibili: un altro tema che nel libro ha uno spazio importante. Anche la chirurgia (ormai micro-chirurgia in gran parte dei casi) e la terapia del dolore ormai sono moto avanzate. La Terapia del Dolore offre soluzioni semi-invasive (per esempio, infiltrazioni locali di farmaci o impianto di elettrostimolatori con elettrodi all’interno del canale vertebrale) ai casi refrattari a terapie sulle cause del dolore stesso. Tuttavia, si corre il rischio di interventi prematuri o eccessivamente invasivi se la decisione per operazione chirurgica, infiltrazioni o impianto di elettrodi non è preceduta da trattamenti fisiatrici razionali, oppure se la decisione deriva da eccessiva fiducia nelle immagini diagnostiche”.
Possiamo dare delle buone notizie a chi è afflitto dal problema? È un problema cronico e dunque chi ne è colpito ne soffrirà sempre, oppure potrà fare qualche cosa sul versante preventivo (in che modo)?
“Ovviamente vi sono attività lavorative e gesti sportivi che espongono a traumi acuti o micro-traumi ripetuti e che impongono una politica di prevenzione. Lo stesso vale per posture incongrue su sedute anti-ergonomiche. Tuttavia la Medicina del Lavoro insegna che il nemico principale verso il quale esercitare prevenzione è la ridotta mobilità (io direi: proprio per la stasi venosa che essa comporta). Detto questo, personalmente non credo che la prevenzione possa avere un ruolo determinante come per esempio quello che esercita una corretta alimentazione nel contrasto a malattie metaboliche e cardiovascolari. E questo, perché la struttura anatomica del canale vertebrale e dei nervi al suo interno predispongono facilmente l’essere umano a problemi in questa sede. La rapida evoluzione della nostra Specie ha avuto dei costi. Il dolore lombosciatico, quindi, è in buona compagnia con altri problemi strutturali umani come la miopia e i problemi ortodontici (connessi alla riduzione del massiccio facciale), le sindromi pronatorie del piede (la varie forme di “piattismo”, connesso alla compressione fetale ed al meccanismo di cammino specifico per la nostra “specie”), le difficoltà nel parto (connesse alla crescita della scatola cranica) e altri ancora. In compenso, esistono ampi margini di cura. Il primo passo verso la cura è non ritenere “normale” il “mal di schiena” soltanto perché “ce l’hanno tutti”. Il secondo passo è non considerare il “mal di schiena” (o la “lombalgia” o ”la sciatica”) come una malattia ma soltanto come un sintomo: così come al giorno d’oggi non riteniamo più che si possano definire come diagnosi di malattia il “mal di pancia” , il “mal di denti” o il “mal di testa”. Il terzo passo è attendersi una diagnosi razionale che distingua un “mal di schiena” da un altro ed alla quale seguano trattamenti specifici. Tutto questo è possibile: è ora di pretenderlo”.