È davvero solo un affare da uomini? La sessualità maschile in Italia è un tema – per definizione – caldo, parte integrante dell’equilibrio fisico e psicologico del singolo e della coppia. Se ne parla ancora in maniera sussurrata al proprio medico curante, perché raramente ci si sente a proprio agio e non rappresenta una consuetudine sottoporsi a visite periodiche con uno specialista, come accade per le donne con il ginecologo. Manca un dibattito pubblico aperto che aiuti a scardinare gli stereotipi e i non-valori legati alla virilità tossica, a favore di una nuova relazione fra individui che incentivi il confronto e il dialogo.
Viviamo in un contesto sociale complesso in cui sono in crescita i problemi legati alla sessualità che minano la salute e la felicità individuale di molte persone, ma allo stesso tempo possono essere alla base di comportamenti devianti e violenti di cui purtroppo i media rendono conto. In questo senso è necessaria una vera rivoluzione culturale che smarchi la sessualità maschile dalle stereotipizzazioni sociali che spesso l’hanno relegata a non poter essere oggetto di discussione e di dibattito.
La disfunzione erettile (D.E.), ad esempio, è ancora – e ampiamente – un argomento tabù, nonostante comprometta la serenità di molti uomini e delle loro relazioni. Un tema celato ad altre persone e condiviso con andrologi, endocrinologi, urologi e sessuologi solo quando è impossibile evitarlo. La sinergia medico-paziente è ancora lontana dall’essere una consuetudine e la scarsa educazione sessuale in famiglia e a scuola, sin dalla giovane età, non favorisce il superamento di quello che, in Italia, è soprattutto un freno psicologico e culturale. In controluce, suggerisce l’ombra di risvolti comportamentali preoccupanti da parte di chi ne soffre, e – in extremis – conseguenze molto serie, finanche tragiche, che si ripercuotono sulle compagne e sui compagni di vita.
L’Università di Pavia, con il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, e SIAMS, Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, con il supporto di Cooper Consumer Health, dopo 25 anni dalla commercializzazione dei primi trattamenti orali per l’impotenza maschile, presentano i risultati di un progetto di ricerca che coinvolge sia specialisti della salute fisica e mentale, sia persone comuni, per capire a che punto siamo e da dove possiamo partire per scardinare uno dei temi proibiti del nostro tempo.
L’OSSERVATORIO POWERED BY COOPER CONSUMER HEALTH
Stamattina è stato presentato a Milano l’OSSERVATORIO “OCCUPIAMOCI DI UOMINI – LA SALUTE SESSUALE MASCHILE FRA TABÙ E DISINFORMAZIONE”, powered by Cooper Consumer Health alla presenza della prof.ssa Rossella Nappi, Ordinario di Ostetricia e Ginecologia all’Università degli Studi di Pavia, responsabile della SSD Ostetricia e Ginecologia 2 dell’IRCCS Policlinico San Matteo e presidente AGUI (Associazione dei Ginecologi Universitari Italiani), del prof. Emmanuele A. Jannini, ordinario di Endocrinologia e Sessuologia Medica Università di Roma Tor Vergata, presidente Accademia Italiana della Salute della Coppia (AISC) – SIAMS e del prof. Flavio Antonio Ceravolo, associato di Sociologia e direttore del progetto di ricerca.
L’indagine sociologica adottata è implementata con un approccio multi-metodo, articolandosi così in un gruppo di interviste in profondità con medici specialisti sia della riproduzione maschile e femminile, sia della psicologia del singolo e della coppia e in focus group. La ricerca prevede anche il coinvolgimento dei pazienti cercando di comprendere quali tecniche siano applicate per il superamento della mascolinità “tossica” e quali leve possono essere utili per incentivare un dibattito pubblico finalmente libero. Proprio per questo saranno anche condotte interviste nell’ultima fase di indagine con i responsabili di alcuni Centri Antiviolenza. In parallelo, infine, si valuteranno quali modelli e stereotipi siano proposti ancora dai media, a una generazione di distanza dall’immissione sul mercato delle prime molecole che hanno consentito di superare l’impasse dell’impotenza e della sua ricaduta psicologica.
IN SINTESI
Il prof. Ceravolo e il suo team di lavoro sintetizzano alcuni dei punti più interessanti emersi: “La ricerca ha lo scopo di fornire strumenti di conoscenza e di lavoro a chi deve operare nel settore. L’obiettivo è capire come si possa favorire l’accettazione e la presa in carico di un problema di salute sessuale maschile identificando l’origine degli stereotipi machisti che spesso lo impediscono. La salute maschile non deve più essere un tabù, dobbiamo uscire dalle insidie della mascolinità tossica a cui ormai ci siamo abituati. Ogni uomo dovrebbe sentirsi sereno nel parlarne e nell’informarsi. Come sempre in medicina, peraltro, la tempestiva presa di coscienza di un possibile problema può ridurre i rischi di situazioni pericolose e scongiurare condizioni di solitudine e infelicità che sarebbero davvero evitabili”.
La prof.ssa Nappi aggiunge: “La salute sessuale maschile non è appannaggio solo dell’uomo. I partner possono avere due ruoli opposti: vivere il percorso attivamente coinvolti o passivamente trovarsi a subire le conseguenze delle patologie del pene, diventando degli amplificatori dello stress. La differenza sostanziale la fa chiaramente la qualità della relazione. Io mi occupo più da vicino di salute e sessualità femminile da molti anni, e dunque mi piace pensare alla partner come una risorsa e non come un ostacolo sottolineando l’importanza della relazione uomo-donna nel percorso di cura. Quanto più è paritetica, tanto più la mascolinità perde quell’impronta scorretta, deviata e tossica che oggi affligge ancora gli uomini nella nostra società. Le partner possono essere ‘combustibili’ positivi per avvicinare alla prevenzione e alla cura di disfunzione erettile, eiaculazione precoce ecc., proprio per le caratteristiche specifiche delle donne che sono più abituate a discutere le problematiche intime con il ginecologo e dunque hanno maggiore possibilità di comprendere le responsabilità individuali e di coppia nell’insorgenza dei sintomi sessuali”.
Proseguendo il prof. Jannini dichiara: “Quando ho scritto ‘Uomini che piacciono alle donne’ (Sonzogno, 2022) volevo dimostrare che l’amore è figlio del tempo che abitiamo, e il nostro è un tempo in cui le donne (per fortuna) si sono ribellate ai vecchi schemi di una coppia centrata sulle dinamiche patriarcali. E gli uomini? Quelli veri, tutt’altro che spaventati da una presunta perdita di virilità, sono coloro che affiancano le compagne nel cammino della vita con rispetto, attenzione e tenerezza. Quegli stessi uomini capaci di chiedere aiuto anche per le loro disfunzioni sessuali, senza per questo temere di perdere la faccia. Ma questi uomini sono ancora troppo pochi. Forse la maggior parte dei miei pazienti continua ancora, più o meno inconsciamente a identificare la propria virilità in un mito di potenza che, tra l’altro, è moneta di basso conio nel territorio femminile. Tra i miei pazienti ci sono poi molti che non hanno un buon rapporto nemmeno con le pillole dell’amore che prescrivo. Queste, d’altra parte, per quanto potenti e sicure, come gli ultimi 25 anni hanno ampiamente dimostrato, non sempre riescono a incontrare i bisogni del paziente e della coppia: sono tanti cui la pillola proprio ‘non va giù’: ne temono (ingiustamente) gli effetti collaterali e la lentezza con cui cominciano a funzionare che viene ritenuta una lesione della spontaneità del sesso. Sono pazienti che chiedono: ‘ma non c’è una crema, un gel che si possa spalmare e che rinforzi rapidamente l’erezione proprio quando ce n’è bisogno?’
La storia dei trattamenti per l’impotenza è lunga quanto il mondo: data da quando l’uomo, scendendo dagli alberi, ha perso l’osso penieno, il baculum. Da allora l’erezione è diventata un’ipotesi, non più una certezza. E i maschi si sono trasformati in incerti cercatori dell’osso perduto: sia esso una pillola o un gel”.
Massimo Geromino, General Manager Cooper Consumer Health conclude: “Prendere parte a questa ricerca significa per noi avviare anche in Italia un percorso di conoscenza e informazione dedicato alle patologie della sessualità maschile. Anzi, vogliamo che si torni ad attivare il dibattito e a fare chiarezza su un argomento – erroneamente – considerato tabù nel nostro Paese, e che invece può contare su contributi scientifici importanti e nuove prospettive grazie alla medicina d’avanguardia”.
PRIMA WAVE DELLA RICERCA: I RISULTATI
In questa prima fase, il team di sociologi dell’Università di Pavia ha analizzato la letteratura sul tema passando in rassegna le più autorevoli fonti di scienze sociali, dalle quali emergono tre layer differenti connessi al concetto di mascolinità nel contesto sociale:
a. Essere uomo dal punto di vista della socialità contemporanea è collegato a valori di egemonia e dominanza, un concetto che emerge ben documentato e argomentato, tra gli altri, negli studi di Carol Harrington dedicati alla mascolinità tossica e che trova ampia conferma anche nel contesto italiano. Diventa critico, quindi, il momento in cui insorge una patologia, una problematica di carattere sessuale, perché mina il principio primo per il quale uomo è sinonimo di forza. Innesca, quindi, nell’individuo che vive una situazione di morbidità un senso di frustrazione personale che si ripercuote nella relazione con gli altri. Lo stato d’animo più comune è la mancanza di percezione della dominanza che porta un uomo ad agire in una delle due modalità seguenti: uno stato depressivo, una sorta di non-azione e immobilismo, oppure uno stato iperattivo, quindi l’eccesso di reazione per imporre e “sentirsi” ancora dominante.
b. Il secondo layer che emerge dall’analisi sociologica è la remissione del problema: nel tentativo di continuare a far parte del gruppo di pari maschi, l’individuo tace la propria patologia o problematica sia nella sfera privata, con il partner, sia nella sfera pubblica per non sembrare debole e disattendere il modello codificato di mascolinità.
c. La conseguenza di questo atteggiamento crea però quello che è un problema essenziale: rischi concreti per la propria salute. “Ci penserò”, “si sistemerà” sono formule quasi “apotropaiche” per tentare di superare quello che si è convinti essere uno stato passeggero, di cui si ignorano cause e conseguenze. Meno frequente è la decisione di essere presi in carico dal sistema sanitario, con una – ancora più rara – accettazione di proseguire il trattamento.
I MEDICI RISPONDONO ALLE DOMANDE DELL’OSSERVATORIO
Nella realtà, quanto analizzato dalla letteratura sociologica trova riscontro nelle interviste con i medici interpellati dall’Università. In questa prima fase del progetto, andrologi, sessuologi, ginecologi raccontano che è soprattutto il terzo punto – il rifiuto della presa di coscienza da un lato e, dall’altro, la ritrosia del paziente nella decisione di essere preso in carico, da parte di medici di base o direttamente da specialisti – che diventa un vicolo cieco nella vita di un uomo.
Il rifiuto arriva anche quando il paziente riceve la diagnosi e le indicazioni di cura e non prosegue nell’indagine e risoluzione della patologia. Dalle testimonianze raccolte il freno alla accettazione e trattamento dello stato problematico ha una conseguenza grave per la salute maschile: la mancanza di prevenzione.
LA DISFUNZIONE ERETTILE
La disfunzione erettile, ad esempio, è una delle condizioni che fa più paura ad un uomo e, anche dal punto di vista sociologico, rappresenta uno scontro diretto con i valori di potenza ed egemonia legati alla mascolinità all’interno del contesto sociale. Una condizione che oggi ha molte alternative mediche per il suo trattamento, già durante le sue prime manifestazioni. Iniziare a parlarne al proprio medico alle prime avvisaglie, consente di fare prevenzione e di affrontare la D.E. con soluzioni farmacologiche o meccaniche meno invasive dell’intervento chirurgico.
Il prof. Ceravolo introduce così la seconda wave della ricerca: focus su pazienti e partner. Giocano un ruolo importante, come anticipato anche dall’intervento della prof.ssa Nappi e del prof. Jannini, le dinamiche di coppia. Infatti, il dialogo paritetico e il confronto con il partner – che è, in ogni caso coinvolto, quando subentrano patologie che incidono sull’equilibrio relazionale – rappresenta un importante avvicinamento alla scelta di rivolgersi al medico. Basti pensare al differente approccio femminile alla prevenzione e alla cura: già dal menarca sono le madri ad accompagnare alle visite con il ginecologo, figura che rimane una costante in tutto il percorso di vita delle donne. I medici di base conoscono molto più da vicino la sfera psicologica e medica della relazione fra la paziente in carico e lo specialista ginecologo perché gli incontri sono più regolari, al netto di controlli e accertamenti diagnostici anche al seno. Un altro “sorvegliato speciale” da cui si attiva una massiccia attività di prevenzione femminile.
Una catena di abitudini che le donne vivono quotidianamente con meno ritrosia, mentre gli uomini affrontano solo se necessario, e solo attorno ai 50 anni, quando emergono i primi problemi alla prostata.
L’età è un fattore importante nella considerazione della mascolinità. Nella società contemporanea ci sono due pesi e due misure: un uomo che, suo malgrado, scopre di avere un tumore genitale attorno ai 30/40 anni, e va da un urologo per attivare le cure necessarie, è considerato un soggetto la cui mascolinità è minata, depotenziata e la sua identità di maschio quasi compromessa. La stessa patologia in un uomo in età avanzata incide molto meno sull’idea di potenza che il contesto sociale ha di lui. Questa differenza genera quindi nuovi tabù e barriere nella gestione della salute sessuale maschile.
L’Osservatorio sulla sessualità maschile e sul suo peso sociologico è un importante strumento di comunicazione perché si torni a parlarne e ad attivare un megafono su una condizione che, ancora prima di essere sanitaria, è culturale. A tal punto che, dalle evidenze dell’Università di Pavia, è necessario coinvolgere nel dibattito anche i Centri Antiviolenza per capire quali chiavi e strumenti vengono messi in atto per disinnescare i risvolti più critici della mascolinità tossica.