News

Notizie, giorno dopo giorno

Non tutto quello che sembra un rifiuto è da buttare

Esistono rifiuti dall’aspetto così accattivante da non sembrare tali. Ci sono inquinanti pressoché invisibili, ma che hanno un significativo impatto sulla salute dell’ambiente. E ci sono persino piante che non piacciono praticamente a nessuno, che paiono spazzatura, ma che invece non solo sono innocue, ma persino utili se trattate correttamente. Inutile stupirci: l’apparenza, lo sappiamo, spesso inganna. Proprio di rifiuti e di risorse che riguardano da vicino il mare si è parlato nel corso della conferenza intitolata Ripuliamo il mare, generiamo bellezza organizzata a Slow Fish, l’evento di Slow Food e Regione Liguria, con il patrocinio del Comune di Genova, del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del Ministero della Cultura, a Genova fino al 4 giugno.

Colorata e diffusissima, la plastica è probabilmente la prima cosa che ci viene in mente quando pensiamo all’inquinamento dei mari. A Slow Fish sono stati presentati i risultati di Splash & Co, il progetto coordinato dall’Università di Genova (Dipartimenti DISTAV e DICCA), con European Research Institute e Università di Tolone e finanziato dal Programma Interreg Italia-Francia Marittimo 2014-2020 dell’Unione europea, grazie al quale sono stati effettuati campionamenti nei porti di Genova e Tolone per studiare la presenza di plastiche e microplastiche e il loro comportamento in acqua. Tra gli obiettivi del progetto c’è studiare l’effetto del biofouling (cioè l’accumulo di microrganismi viventi sui materiali umidi) sulla galleggiabilità dei rifiuti plastici nei porti. Dalle analisi è risultato che il biofouling aumenta la densità dei frammenti di plastica e ostacola la galleggiabilità dei materiali di forma e consistenza compatte, mentre le prime fasi di crescita del biofouling favoriscono la galleggiabilità per i materiali di forma cava. Forme e dimensioni dei materiali su cui si sviluppa la pellicola biologica, insomma, possono modificare il comportamento dei rifiuti, «ma nulla galleggia per sempre» ricorda Franco Borgogno, ricercatore dell’European Research Institute.

«La plastica galleggiante è visibile e più facilmente quantificabile di quella che si trova sotto il pelo dell’acqua, ma sappiamo che rappresenta una percentuale minima di quella complessivamente presente nel mare e negli oceani che coprono tre quarti della superficie terrestre e hanno una profondità media di quattromila metri» . Un mondo invisibile e ancora poco conosciuto, ecco perché «è fondamentale studiare come, quando e con quali modalità la plastica si muove nella colonna d’acqua». Il tutto, sottolinea Borgogno, tenendo presente che ripulire il mare vuol dire evitare che venga inquinato, e non agire a posteriori: «Pensare di pulire gli oceani dalla plastica è una sciocchezza colossale, non può essere un obiettivo. Ciò che va fatto è evitare che quei rifiuti arrivino negli oceani», ponendo cioè cura tanto alle coste quanto all’entroterra, da cui arriva gran parte degli inquinanti trasportati inesorabilmente dai corsi d’acqua.

Non sparate sulla posidonia!

A Slow Fish si è parlato anche di Posidonia Oceanica, la pianta che ricopre, con vere e proprie praterie, molti fondali del mar Mediterraneo. Piante preziose per il ruolo che ricoprono nella proliferazione di organismi animali e vegetali acquatici, ma le cui foglie spesso raggiungono i litorali, finendo per accumularsi sulle spiagge risultando – ironia della sorte – sgradite ai bagnanti. Insomma: utile, anzi fondamentale (anche per via della sua capacità di contrastare l’erosione costiera), ma bistrattata: che fare, dunque, della Posidonia spiaggiata? Da Pollica, in provincia di Salerno, arriva un’idea di riutilizzo delle foglie che raggiungono le spiagge: «Inaugureremo un impianto in cui la posidonia spiaggiata, opportunamente ripulita dei residui sabbiosi e salini, e i rifiuti umidi saranno utilizzati per la produzione di energia in grado di soddisfare il fabbisogno di circa cinquecento famiglie» spiega il sindaco di Pollica, Stefano Pisani. Un impianto dove produrre energia, ma non solo: «Il nostro intento è quello di far conoscere a tutti le buone pratiche messe in atto dalla comunità locale, di spiegare come quello che è comunemente visto come un rifiuto sia invece una risorsa importante, che offre un sostegno ai nostri concittadini in tutte le sue fasi di vita».

Alla conferenza è intervenuto anche un gruppo di attivisti di Slow Food provenienti dalla Corea del Sud, giunti a Slow Fish per esprimere i propri timori sul preannunciato sversamento in mare dell’acqua reflua – più di un milione di tonnellate – utilizzata per raffreddare i reattori della centrale nucleare giapponese di Fukushima Dai-ichi danneggiati dal maremoto dell’11 marzo 2011. Un’acqua che, seppur trattata, può contenere alcuni elementi radioattivi come il trizio, il cesio 134, il cesio 137 e lo stronzio 90. «Se c’è inquinamento nel mare al largo delle coste giapponesi, allora c’è inquinamento ovunque – l’appello lanciato a Slow Fish -. E se il Giappone rilascia questi milioni di tonnellate di acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico, io temo anche per la pesca in Corea».

Pin It on Pinterest