Astensionismo. Perché la gente non è andata a votare?

In queste elezioni politiche più che mai ha vinto il partito dell’astensionismo. Un dato a livello nazionale che non aveva mai registrato un picco così alto. Il risultato definitivo dell’affluenza è stato infatti del 63,91%, con un calo di oltre nove punti rispetto alle precedenti votazioni del 2018.

Disaffezione, delusione, difficoltà a raggiungere il seggio per tanti anziani e fuori sede. Tutti fattori che senza dubbio hanno un peso sulla decisione di non recarsi alle urne ma che da soli non giustificano un dato così negativo e soprattutto un trend che sembra inarrestabile dal 1994 a oggi. (Dati affluenza: nel 1992 87,35%, nel 1994 86,31%, nel 1996 82,88%, nel 2001 81,38%, nel 2006 83,62%, nel 2008 80,51%, nel 2013 75,20%, nel 2018 72,94%, nel 2022 63,91%).

Una spiegazione arriva però dalle Neuroscienze, come spiega Lorenzo Dornetti, psicologo e neuroscienziato:

«I bias cognitivi hanno lo scopo di rendere l’essere umano “cieco” rispetto a certe informazioni per favorire la rapidità e frugalità decisionali e giocano un ruolo fondamentale nelle scelte che le persone compiono al momento del voto. Oggi viviamo immersi in un sovraccarico informativo e in una realtà complessa di cui è difficile averne conoscenza diretta. In questo contesto il bias della conferma è uno di questi meccanismi, per il quale si prediligono le informazioni che confermano le proprie convinzioni o ipotesi preesistenti, scartando o ignorando invece le prove contrarie alle idee di partenza. Trova nel web un terreno molto fertile, perché facilita l’incontro tra chi condivide le stesse idee ed opinioni e attraverso gli algoritmi sottopone a questi gruppi contenuti e informazioni che già condividono, in un circuito che si autoalimenta. Nessuno di noi è immune a questo pericolo, perché i bias cognitivi non fanno distinzione in base al quoziente intellettivo o alla nostra apertura mentale. Sono meccanismi ancestrali che risiedono nel nostro cervello e dei quali molto difficilmente diveniamo consapevoli».

Ecco allora due meccanismi psicologici che sono alla base delle scelte nell’urna e che spiegano perché sia così difficile oggi contrastare l’astensionismo diffuso, nonostante innumerevoli appelli al voto e campagne di comunicazione mirate:

1. Il pericolo dell’ Echo Chamber

Nel 2020, in Physical Review X, un team di ricercatori ha dimostrato che i social network creano “Echo chambers”, ovvero camere con l’eco. Per via del meccanismo della distorsione della conferma, le persone, in un mare di informazioni, prestano attenzione a ciò che conoscono, un fenomeno amplificato proprio dai social network. Questo vale anche per le notizie, non solo per i prodotti. Il risultato è che le persone vengono esposte attraverso gli algoritmi solo alle informazioni preferite e quindi tendono a riconfermare la scelta iniziale, senza considerare tesi differenti. E se i media tradizionali sono tenuti a rispettare la par condicio e a dare pari visibilità a tutte le proposte elettorali, sui social invece a viene continuamente rafforzato l’eco di quello che già si pensa, rendendo sempre più rigide le posizioni.

2. Il bias della conferma

La dinamica della conferma e quella dell’echo chamber valgono anche per gli indecisi. Per quanti sforzi abbiano fatto i partiti politici ed i loro leader nel coinvolgere e appellarsi all’importanza del voto, infatti, continuano a esserci milioni di italiani che si sono astenuti, in parte per motivi di disaffezione e mancata rappresentanza, ma anche perché l’algoritmo dei social network, riconoscendo in alcune persone il disinteresse per la politica, non ha mostrato loro in queste settimane alcun contenuto che potesse risvegliare la voglia di esprimersi, esporsi e mettersi in gioco con il proprio voto per la cosa pubblica.

«Per difenderci dal bias di conferma e in generale dai bias cognitivi che non sono altro che pregiudizi molto radficati, è molto importante imparare a mettere sistematicamente in discussione le nostre abitudini e opinioni – aggiunge Dornetti -. Coltivare il pensiero critico è l’unica arma che abbiamo per contrastare questo fenomeno dilagante».

Non è un caso se Il World Economic Forum nel report “New Vision for Education. Unlocking the Potential of Technology” ha stilato una lista delle 16 “skills” del ventunesimo secolo, e fra queste un posto di primo piano viene assegnato proprio al pensiero critico/problem solving, inteso come abilità di identificare e ponderare situazioni, idee e informazioni per formulare risposte e soluzioni.


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