A cura di Xavier Chollet, Senior Investment Manager e gestore del fondo Pictet-Clean Energy di Pictet Asset Management
La transizione energetica ha in sé i concetti di crescita e trasformazione, in un contesto in cui governi, aziende e singoli individui diventano gli artefici del mondo che verrà
Quando si parla di transizione energetica va sottolineato come la politica non sia tutto. Non più, per lo meno. Nonostante l’importante ruolo svolto fino a dieci anni fa dai regolatori, che si sono fatti promotori della transizione energetica, la prima leva che muove oggi la transizione è l’aspetto economico, sotto la voce della competitività dei costi. Significativi miglioramenti si sono, infatti, avuti a livello di economie di scala e nell’efficientamento eolico e solare, che hanno reso queste tecnologie più convenienti di alcune fonti fossili come carbone e gas. In molte regioni, per esempio, è più conveniente costruire un nuovo parco eolico/solare piuttosto che continuare a far funzionare un impianto termoelettrico esistente. Secondo McKinsey, alle condizioni odierne, si potrebbe raggiungere un obiettivo pari al 50-60% di decarbonizzazione del sistema elettrico senza costi aggiuntivi o con costi minimi per la società e senza che siano necessari sussidi o incentivi governativi aggiuntivi. Si tratterebbe solo di adottare un comportamento economico puramente razionale.
La regolamentazione continua, comunque a giocare un ruolo attivo di primaria importanza: vista la maggiore accessibilità economica e il peggioramento della crisi climatica globale, c’è stato un enorme slancio da parte dei governi nel sostenere nuovi investimenti in transizione. Una situazione esacerbata dalle questioni di sicurezza energetica dopo l’avvio del conflitto Russia-Ucraina e dal desiderio di troncare la dipendenza dalle importazioni estere.
Il quadro normativo europeo in breve
Anche l’Europa si sta muovendo in questa direzione: il piano REPower EU ha lo scopo di sviluppare l’utilizzo di energie rinnovabili a livello industriale, abitativo e dei trasporti, promuovendo l’indipendenza energetica europea. Le misure previste da Bruxelles prevedono, anzitutto, l’aumento nell’utilizzo di fonti rinnovabili, che dovrebbero raggiungere il 45% del fabbisogno energetico complessivo entro il 2030 (rispetto al 15% attuale). Un obiettivo da perseguire avvalendosi principalmente di tre iniziative: il raddoppio della capacità solare fotovoltaica entro il 2025 sugli immobili e il raggiungimento del quadruplo di tale capacità entro il 2030; la graduale installazione di pannelli solari su tutti gli edifici pubblici entro il 2025, commerciali (esistenti e nuovi) entro il 2027 e su tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2029; l’avvio di un processo di autorizzazione abbreviato e semplificato per progetti di energia rinnovabile (da svilupparsi entro 6 mesi/un anno). Il piano tocca anche il tema dell’idrogeno e della decarbonizzazione e fissa l’obiettivo di 10 milioni di tonnellate di produzione di idrogeno rinnovabile e di 10 milioni di tonnellate di importazioni entro il 2030 per sostituire gas naturale, carbone e petrolio nelle industrie più difficili da decarbonizzare. La Commissione lancerà, inoltre, vari incentivi per sostenere l’adozione dell’idrogeno verde da parte dell’industria, promuovendo la decarbonizzazione del settore manifatturiero con circa 3 miliardi di euro di progetti già anticipati nell’ambito del fondo per l’innovazione. In Pictet, riteniamo che l’idrogeno verde abbia un enorme potenziale nel lungo periodo (specie per alcune applicazioni, come nell’ambito dell’industria pesante). Tuttavia, la tecnologia a supporto del suo sviluppo e le opportunità di investimento in questo settore sono ancora in una fase iniziale, con molte società pure-play ancora volatili, negative in termini di free cash flow.
La transizione: opportunità lungo la catena del valore
Partecipare alla transizione significa quindi proiettarsi in avanti, analizzando cosa dovrebbe cambiare per far sì che la trasformazione energetica possa avere luogo. È necessario guardare da ambo i lati dell’equazione: se da una parte viene data grande visibilità all’implementazione di nuove tecnologie, dall’altra, è fondamentale intervenire sugli impianti già in essere con opere di efficientamento.
La nostra strategia sulle energie pulite ricerca opportunità lungo l’intera catena del valore. Ci concentriamo non solo sulle energie rinnovabili o sulla mobilità elettrica (pari rispettivamente a circa il 25% e il 30% del portafoglio), come pensano in molti, ma suddividiamo i nostri investimenti principalmente su altre quattro aree: tecnologie abilitanti, infrastrutture abilitanti, efficientamento della produzione ed edifici green.
Questo ci permette di generare un impatto sull’ambiente, ma anche sulla società. Come riportato lo scorso febbraio dalle Nazioni Unite, l’inquinamento prodotto a livello globale da parte di stati e aziende ha generato più decessi di quanto non abbia fatto sul medesimo periodo la pandemia da COVID-19. In particolare, l’inquinamento da pesticidi, plastica e rifiuti elettronici sta causando diffuse violazioni dei diritti umani e almeno 9 milioni di morti premature all’anno, un problema spesso trascurato.
Bisogna quindi ricordare che la transizione energetica avrà impatti positivi diretti e impliciti sulla “S” del noto acronimo ESG (sebbene più difficili da quantificare), riducendo i problemi di salute dovuti all’inquinamento atmosferico e fornendo elettricità pulita e conveniente, maggiore indipendenza energetica (stoccaggio e distribuzione locale) e sicurezza nazionale. Nel processo di selezione del fondo teniamo conto di tutti gli aspetti ESG, effettuando una analisi company-by-company per valutare le dinamiche di governance aziendale e promuovere pratiche di engagement che portino al miglioramento dell’attività delle aziende target. L’esempio forse più chiaro arriva dal comparto dei semiconduttori, su cui adottiamo una strategia di full engagement per rendere più sostenibile tutto quello che ruota attorno alle loro attività dal punto di vista sociale e ambientale.