La sparizione del giornalista inglese Dom Phillips e dello studioso brasiliano di culture indigene Bruno Pereira, avvenuta domenica 6 giugno mentre svolgevano attività di ricerca nella Valle del Javari (una delle aree indigene più vaste del Brasile, al confine col Perù), ha mobilitato organizzazioni nazionali e internazionali che si occupano di difesa dell’ambiente e tutela della società civile, per chiedere chiarezza su quanto sta accadendo.
Ieri mattina, i militari brasiliani hanno affermato di essere ancora in attesa di un ordine da parte del governo federale per impegnarsi in una missione di ricerca e salvataggio. Secondo le foto pubblicate martedì 7 su Twitter dal Ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza del Brasile, Anderson Torres, la ricerca comprende attualmente un gruppo di sei uomini su una barca. Un chiaro segnale di come il governo brasiliano sia impreparato e non stia dando al caso la necessaria urgenza e importanza.
Negli ultimi tre anni, la quantità di attacchi subiti dai Popoli Indigeni del Brasile è cresciuta in modo allarmante. Nel settembre 2021, il rapporto “L’ultima linea di difesa” di Global Witness ha inserito il Brasile al quarto posto nella classifica dei Paesi più pericolosi per chi difende l’ambiente con venti omicidi di attivisti legati alla causa ambientale nel 2020, dietro solo a Colombia, Messico e Filippine. Allo stesso modo, l’ultima edizione del rapporto “Violenza contro i Popoli Indigeni in Brasile”, curato dal Consiglio Missionario Indigenista (CIMI), mostra che gli omicidi nelle terre indigene sono aumentati del 61%, con 182 casi registrati nel 2020, e che anche i conflitti per il controllo delle terre sono aumentati, con 96 casi nel 2020: il 174% in più rispetto all’anno precedente.
Il Brasile di Bolsonaro affonda di fronte al sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani. A ciò si aggiungono le varie proposte di legge (PL) attualmente in fase di elaborazione al Congresso e che pongono seri rischi per la sopravvivenza dei Popoli Indigeni e la protezione delle foreste. Gli esempi più eclatanti sono la PL 191/2020, che consentirebbe l’estrazione mineraria all’interno di terre indigene protette, e la PL 490/2007, che mira a modificare la normativa sulla demarcazione delle terre indigene, impedendone l’espansione e autorizzando l’accesso a territori in cui abitano popolazioni indigene incontattate. Come se non bastasse, la PL 490/2007 prevederebbe l’inserimento del concetto di “marco temporal”, secondo cui i Popoli Indigeni che non possono provare che prima del 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione del Brasile) abitavano fisicamente determinate terre, non avranno più diritti su di esse e non potranno rivendicarne la proprietà.
Per il portavoce di Greenpeace Brasile per l’Amazzonia, Danicley de Aguiar, la scomparsa di Dom Phillips e Bruno Pereira è l’ennesimo capitolo dell’agenda che il governo Bolsonaro sta promuovendo con forza nelle aree protette: “Silenziare attiviste e attivisti, leader sociali e giornaliste e giornalisti è la punta dell’iceberg di una politica di sterminio al servizio dell’economia della distruzione, che consuma la foresta e viola i diritti umani”.
Bruno Araújo e Dom Phillips sono scomparsi da molte ore ed è urgente che il governo brasiliano faccia tutti gli sforzi necessari per ritrovarli. Altrimenti, darà il chiaro segnale che non ha alcuna intenzione di invertire l’attuale contesto di insicurezza diffuso dalla politica del “tutto è permesso” che si è instaurata in Amazzonia.