“Dei 35 Paesi più minacciati dal cambiamento climatico, ben 27 soffrono di insicurezza alimentare estrema”. Lo ha dichiarato il direttore generale di Azione contro la Fame, Simone Garroni, in occasione del 26° vertice dell’ONU sul clima (Cop26) in corso, in questi giorni, a Glasgow. “Va ricordato, senza mezzi termini, che la crisi climatica preluda, oggi, a una sempre più evidente impossibilità da parte delle popolazioni più vulnerabili di avere accesso al cibo. È giunto davvero il momento di impegnarsi, concretamente, per adottare misure anticicliche e per rendere i nostri sistemi alimentari più equi, resilienti e sostenibili nel lungo periodo”.
IL MANIFESTO MAI PIU’ FAME: LE RICHIESTE ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
Il legame tra fame e cambiamento climatico rappresenta, non a caso, uno dei punti salienti del Manifesto Mai più Fame, il documento-appello recentemente promosso da Azione contro la Fame con l’obiettivo di spingere i leader nazionali ed internazionali a porre fine alle cause strutturali dell’insicurezza alimentare, a partire dal cambiamento climatico. D’altra parte, per almeno 15 milioni di persone che vivono di agricoltura e allevamento in Africa, Asia e America Latina le sempre più frequenti violente inondazioni, tempeste e siccità generate dai cambiamenti climatici costituiscono, oggi, il primo fattore di insicurezza alimentare.
“Nel manifesto Mai più Fame – ha aggiunto Garroni – abbiamo chiesto alla comunità internazionale di dare nuovo impulso agli Accordi di Parigi del 2015 per contenere il surriscaldamento globale entro +1,5°C. Gli attuali impegni sono lungi dall’essere sufficienti: attualmente ci stiamo dirigendo verso 2,7 gradi con possibili conseguenze catastrofiche sulla già precaria situazione alimentare di diverse centinaia di milioni di persone nel mondo”.
IL VIDEO-DENUNCIA DI AZIONE CONTRO LA FAME
L’organizzazione, in queste settimane, ha diffuso un video per sensibilizzare l’opinione pubblica sul legame perverso tra crisi climatica e fame. Nel filmato, l’eco dei disastri naturali costituisce la premessa dell’insicurezza alimentare e, nella fattispecie, di nuovi stomaci che ‘brontolano’.
IL RAPPORTO INTERNAZIONALE SUL TEMA
Ma non solo: il legame tra cambiamento climatico e fame è confermato dal rapporto Climate Change – A Hunger Crisis In The Making promosso, in questi giorni, dal network di cui l’organizzazione fa parte.
Il documento, in particolare, sostiene che, entro il 2040, saranno preoccupanti le conseguenze dirette dell’attuale crisi:
i rendimenti globali delle colture potrebbero diminuire del 50%;
circa 3,9 miliardi di persone saranno esposte a ondate di calore più frequenti e gravi;
400 milioni di persone potrebbero diventare disoccupate;
700 milioni di persone potrebbero patire un maggiore rischio-siccità.
“Tutti i dati ci confermano che ci stiamo dirigendo verso una crisi globale senza precedenti che costerà milioni di vite – ha proseguito Garroni –. Alla luce di questi scenari, i leader politici riuniti a Glasgow hanno il dovere di agire migliorando, significativamente, i loro piani di protezione del clima, incrementando il sostegno agli aiuti umanitari e investendo di più con l’obiettivo di sostenere misure che prevengano le carestie, con particolare riferimento ai Paesi del Sud del mondo, vittime senza colpo ferire”.
Le persone e le comunità più colpite dalla crisi climatica sono, del resto, quelle che storicamente hanno contribuito meno alla sua creazione. Per esempio, le emissioni totali di gas serra dei 27 Paesi che presentano i più alti tassi di insicurezza alimentare sono meno del 5% delle emissioni totali di gas serra dei Paesi del G7. Allo stesso tempo, questi Stati presentano minori risorse finanziarie per assorbire e mitigare gli impatti del cambiamento climatico. Azione contro la Fame chiede, pertanto, alla comunità internazionale di incrementare i finanziamenti per i danni legati al clima attraverso una assistenza umanitaria proattiva verso alcuni Paesi.
TRE “CASI” PER ESEMPLIFICARE IL NESSO TRA CRISI CLIMATICA E FAME
È il caso, per esempio, di Haiti, Madagascar e Bangladesh, tanto diversi tra loro ma altrettanto accomunati dalle conseguenze nefaste del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare.
Haiti. Il Paese è colpito regolarmente da catastrofi naturali (come gli uragani Matthew e Irma del 2016 e 2017), da terremoti e tempeste tropicali. L’ultimo episodio, il sisma di magnitudo 7.2 seguito dalla tempesta tropicale Grace, ha causato oltre 1.900 morti e, complessivamente, ha coinvolto 1.2 milioni di persone, di cui quasi la metà sono bambini. A causa del solo uragano Matthew, l’80% dei raccolti e la grande maggioranza del bestiame sono andati distrutti.
Madagascar. È uno dei Paesi africani più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici come cicloni, siccità e inondazioni. Qui periodi di siccità sempre più lunghi e frequenti hanno aggravato la carenza d’acqua e inciso, negativamente, sui mezzi di sostentamento della popolazione locale. Si stima che oltre 1.3 milioni di persone nella regione soffriranno di grave insicurezza alimentare e che 28.000 di queste si troveranno in situazione di carestia. Sono oltre 27.000 i bambini sotto i 5 anni che soffrono di malnutrizione acuta grave.
Bangladesh. Con il 41% dei bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione cronica, è uno dei territori che registra un tasso di malnutrizione fra i più elevati della Terra. La salute pubblica è, oggi, compromessa dalle scarse risorse idriche, da disastri naturali ricorrenti, come cicloni e alluvioni stagionali. In questo contesto quasi un milione di Rohingya, rifugiati in Bangladesh per sfuggire alle violenze subite in Myanmar, vive per la grande maggioranza in campi profughi: si tratta di aree a rischio di inondazioni, frane e altri disastri. A fine luglio 2021, molti dei ripari sono andati distrutti a seguito delle di alluvioni e frane causate dalla pioggia intensa.