Le difficoltà relative alla tutela del diritto alla salute nei detenuti sono aumentate con il DPCM del 2008 che ha diviso le competenze tra i due Ministeri Giustizia e Salute, ponendo limiti e disomogeneità, emersi con virulenza durante la pandemia. A Roma un dibattito tra clinici e istituzioni per affrontare e risolvere le criticità
“L’importante penetrazione del Covid in alcuni Istituti e la quasi totale assenza in altri dimostra chiaramente la mancanza di linee organizzative minimamente omogenee nel sistema. Non è facile far coesistere nello stesso ambiente, con l’obiettivo di gestire le stesse persone, l’azione di due amministrazioni così profondamente differenti come quelle riconducibili ai Ministeri di Giustizia e Salute” sottolinea Luciano Lucanìa, Presidente SIMSPe
La SIMSPe – Società Italiana di Medicina e Sanità nei Penitenziari si confronta da anni con un sistema quale quello penitenziario italiano estremamente complesso, in cui ogni anno transitano oltre 100mila persone, alle quali deve essere costituzionalmente garantito il diritto inalienabile alla salute. Questo obiettivo già di per sé non è semplice visto il contesto di riferimento; si è poi ulteriormente complicato da tredici anni a questa parte, a seguito del DPCM 1/4/2008, che ha trasferito questa competenza al Servizio Sanitario Nazionale, generando un sistema disomogeneo, reso ancor più intricato dal riferimento a due dicasteri, Giustizia e Salute. Le difficoltà emerse in questi anni si sono palesate con estremo vigore durante i mesi di pandemia, che hanno messo a nudo i limiti di questa organizzazione e hanno posto come sempre più urgente un intervento legislativo sul tema.
IL DIRITTO DELLA TUTELA DELLA SALUTE IN CARCERE E LA DISOMOGENEITA’ DEL SISTEMA – Il tema degli effetti prodotti dalla pandemia sul sistema penitenziario è stato affrontato dal Tavolo Tecnico Istituzionale e Interdisciplinare “Sanità Penitenziaria. Quale futuro?”, organizzato con il contributo non condizionato di Gilead Sciences il 30 settembre in apertura del Congresso SIMSPe presso l’Hotel dei Congressi a Roma.
“Fortunatamente, il Covid non ha prodotto i danni inizialmente temuti – evidenzia Luciano Lucanìa. – Tuttavia, l’importante penetrazione del virus in alcuni Istituti e la quasi totale assenza in altri dimostra chiaramente la mancanza di linee organizzative minimamente omogenee nel sistema. Non è facile far coesistere nello stesso ambiente, con l’obiettivo di gestire le stesse persone, l’azione di due amministrazioni così profondamente differenti come quelle riconducibili ai Ministeri di Giustizia e Salute. Troppo spesso si finisce per lasciare l’organizzazione dei 190 Istituti Penitenziari italiani alla buona volontà di chi vi opera. Il messaggio lanciato da SIMSPe riguarda la necessità di favorire il dialogo tra le due Amministrazioni, possibilmente mediante una Legge quadro con cui tracciare i contorni organizzativi della Sanità Penitenziaria in modo omogeneo sia all’interno di tutte le Regioni che in ogni singolo Istituto Penitenziario italiano”.
“Il carcere è un ambiente complesso su cui hanno competenza due dicasteri diversi, Giustizia e Salute, per tutelare un doppio interesse – evidenzia il Prof. Sergio Babudieri. – Queste amministrazioni non sono coordinate: la nostra richiesta è che inizino a collaborare e che vi siano presupposti normativi che consentano di affrontare in maniera dettagliata tutti gli aspetti organizzativi negli istituti penitenziari. La riforma del 2008 ha trasferito le competenze dal Ministero della giustizia a quello della Salute, quindi il controllo della sanità penitenziaria è passata dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che governa tutti gli istituti penitenziari alle singole regioni: per garantire alle persone detenute una qualità dell’assistenza sanitaria pari ai liberi cittadini, il prezzo pagato è stato la perdita dell’unicità del sistema. Nelle carceri italiane manca uniformità anche solo nei contratti del personale medico, infermieristico e tecnico. Il sistema è altamente disomogeneo anche all’interno delle stesse regioni. Il Decreto aveva istituito degli osservatori regionali per la tutela della salute in carcere, ma solo poche regioni particolarmente virtuose come Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia si sono organizzate; manca un approccio sistematico”.
IL CONTESTO DIFFICOLTOSO DELLA SANITA’ PENITENZIARIA – Il controverso equilibrio normativo che condiziona la sanità penitenziaria si inserisce in un quadro con risvolti sociali altrettanto complessi. “La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, la frammentazione, la mancanza di adeguate normative forti sono elementi che lasciano la sanità penitenziaria in un guado – spiega Lucanìa – La pandemia ne ha rilevato non solo l’intrinseca fragilità, ma anche le prospettive assolutamente incerte per il domani. Mancano figure professionali adeguate alla sanità carceraria, ma soprattutto una visione comune di cosa debba essere la medicina penitenziaria all’interno del sistema. È necessaria anzitutto una legge quadro, che dica alle regioni quali sono i requisiti minimi, i LEA, che vanno assicurati all’interno delle carceri. Non è possibile che ogni regione eroghi servizi differenti: un livello minimo deve essere garantito e uniformato. Ogni azienda sanitaria è fatta da unità operative, che siano complesse, semplici o dipartimentali e sono modulate in base a quello che fanno; il carcere non può sfuggire a questa regola. Non è solo un problema legislativo, ma proprio di organizzazione”.