Moda & Green, il fenomeno “Fashion Renting” conquista la Gen Z

Sarà la battaglia dell’attivista Greta Thunberg, saranno gli innumerevoli disastri ambientali degli ultimi anni, sarà che a pagare le conseguenze dei cambiamenti climatici saranno soprattutto i più giovani, ma una cosa è certa: la Generazione Z è la più impegnata nella salvaguardia del Pianeta. In particolare, i ragazzi sono sempre più critici ed esigenti verso il mondo della moda, uno dei settori che ha un impatto maggiore sull’ambiente. A confermare questa posizione è uno studio condotto dai ricercatori della Washington State University e pubblicato sulla rivista Sustainability, dal quale emerge come la Gen Z non solo sia più orientata al consumo sostenibile, ma anche una maggiore attitudine a utilizzare servizi di noleggio di abbigliamento che permettono di allungare la vita di un capo, evitando gli sprechi tipici del fast fashion. Dallo studio è emerso infatti che il 55% del campione appartenente alla Generazione Z ha già sperimentato il noleggio nel settore moda, con le donne maggiormente coinvolte dalla tendenza. Ma non è tutto: a livello statistico la ricerca ha evidenziato una varianza del 58,6% rispetto all’intenzione di utilizzare questo tipo di servizio. “Il 25% del nostro fatturato arriva proprio dalla Generazione Z, segno dell’interesse di questa fascia d’età nei confronti del noleggio. I giovani hanno sposato la nostra filosofia e compreso come il fashion renting possa rivelarsi un’ancora di salvezza e contribuire a un futuro più verde, fatto di capi in grado di durare nel tempo e di guardaroba infiniti e condivisi – afferma Caterina Maestro, fondatrice e CEO della startup milanese DressYouCan (dressyoucan.com) – Il nostro servizio permette a chiunque di indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale con prezzi accessibili, il tutto con un sistema di noleggio online e offline molto semplice e che sta riscuotendo grande successo. Il noleggio di abiti è l’esatto opposto del fast fashion e rappresenta un vero e proprio asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un vasto guardaroba che non alimenti sprechi e inquinamento”.

La leva principale di questo cambiamento culturale che interessa soprattutto i nati tra il 1995 e il 2010? La sensazione di fare la differenza. Una svolta più che necessaria se si pensa che, secondo l’Environmental Protection Agency, nel 2018 negli Stati Uniti oltre 17 milioni di tonnellate di tessuti sono finiti nelle discariche. Un aumento drammatico paragonato alle circa 13 milioni di tonnellate nel 2009 e ai 9,4 milioni di tonnellate nel 2000. Inoltre, secondo Clean Clothes Campaign, nei paesi occidentali in media ogni persona produce 70 kg di rifiuti tessili all’anno che rappresentano il 5% degli scarti prodotti a livello globale. Oltre alle conseguenze ambientali, i giovani sono più sensibili anche verso l’etica lavorativa dell’industria, un elemento spesso trascurato dalle grandi marche che fanno dei capi usa e getta il loro credo: come evidenziato da Fast Company, infatti, lo stipendio medio di una persona che in Bangladesh si occupa di creare le magliette indossate in Europa e America è di 28 taka all’ora (pari a 28 centesimi di euro), cifra che lo porta a faticare per riuscire a pagare le bollette anche lavorando 60 ore a settimana. La situazione non è diversa in Cambogia dove il salario è di circa 70 centesimi l’ora o in India dove si scende addirittura a 49. I dati che dimostrano i benefici del fashion renting arrivano anche da oltreoceano: negli Stati Uniti, Paese pioniere del trend, dal 2010 ad oggi il celebre servizio di noleggio Rent the Runway ha consentito di evitare la produzione di circa 1,3 milioni di nuovi capi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Women’s Wear Daily, ha evidenziato come noleggiare un abito anziché acquistarlo permetta di consumare il 24% in meno di acqua, abbattere il consumo energetico del 6% e far scendere le emissioni di Co2 del 3%. In generale, il risparmio ambientale nei prossimi anni sarà di 207,3 milioni di litri di acqua, 33 milioni di kWh di energia e 6 milioni di kg di emissioni di Co2.

Non solo fashion renting però, anche il riciclo di vestiti usati è un tema caldo per la Generazione Z. In questo senso occorre citare il progetto di sensibilizzazione Looop in cui l’attrice Maisie Williams, o meglio il suo avatar digitale, guida l’utente nella Looop Island, un mondo sostenibile all’interno di uno dei videogame preferiti dalla Generazione Z, Animal Crossing. Qui il giocatore potrà riciclare abiti e crearne di nuovi guadagnando punti in un modo del tutto eco-friendly. Un interessante trend, invece, arriva da Dublino dove, come riporta The Times, qualche anno fa Aisling Byrne, studentessa del Trinity College, ha lanciato nel campus il “peer-to-peer clothes swapping”, ovvero lo scambio di vestiti e accessori tra amici e nella comunità in cui si vive. L’idea ha riscosso un tale successo da spingere Byrne a fondare una startup che oggi permette di scambiarsi vestiti in Irlanda e UK. E anche un altro segno di una crescente attenzione alla moda sostenibile arriva dall’isola britannica: mentre a settembre vanno in scena le Fashion Week di New York, Parigi e Milano, a Bristol è stata organizzata la prima Sustainable Fashion Week con lo scopo di inspirare, educare e sensibilizzare le persone a un rapporto più sostenibile con il proprio guardaroba. Il messaggio è chiaro: il mondo della moda deve cambiare per soddisfare le esigenze della Generazione Z, attiva sostenitrice dell’etica e dell’autenticità nella moda.


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