Il rispetto per l’ambiente e la riduzione di spese e rifiuti inizia sin da piccoli

Foto di Silvia Navarro da Pixabay

Se la scelta di Harry e Meghan di avere soltanto due figli per salvaguardare il Pianeta ha fatto molto discutere, a dimostrare che effettivamente una nuova nascita aumenta sensibilmente l’impronta ecologica di una famiglia è uno studio svedese. Secondo la ricerca condotta dalla Sveriges landbruksuniversitet di Uppsala, infatti, in una casa con figli si produce il 26% di emissioni inquinanti in più rispetto a un focolare composto da sole due persone. Come fare allora per ridurre il proprio impatto senza prendere decisioni drastiche? Dai pannolini lavabili all’utilizzo di materiali sostenibili come il legno in cameretta, sono tante le azioni che è possibile mettere in atto per contrastare questo fenomeno. Pensando all’abbigliamento, ecco che una soluzione particolarmente utile è quella di non acquistare grandi quantità di capi, ma optare per quelli di seconda mano o ricorrere al noleggio, in piena filosofia “kids fashion renting”. Secondo The Guardian, infatti, in soli due anni di vita un neonato utilizza 280 capi d’abbigliamento, uno ogni due giorni e mezzo circa. Una quantità degna di una star hollywoodiana che molto spesso finisce direttamente in discarica: sempre secondo il quotidiano britannico, infatti, soltanto il 15% di questi capi viene donato o riciclato. A celebrare il nuovo trend globale del “second hand” per i più piccoli ci ha pensato anche il Financial Times che, in un recente articolo, ha definito il noleggio “un settore in rapida crescita nel mercato dell’abbigliamento per bambini”.

Una tendenza nata nel mondo anglosassone che sta prendendo piede anche nel Bel Paese grazie a una startup che ha puntato tutto sul noleggio d’abbigliamento: “Quello del fashion renting è un fenomeno che in Italia ha già preso piede da tempo e nel quale possiamo dire con orgoglio di aver fatto da apripista – spiega Caterina Maestro, fondatrice e CEO della startup milanese DressYouCan – Siamo partite dal guardaroba femminile, ma da qualche tempo abbiamo deciso di allargarci anche agli abiti da cerimonia per bambine. Di recente sono diventata mamma e so bene quanti siano i vestiti necessari per un bebè e quanto in fretta crescano i nostri figli: dopo pochi utilizzi gli abitini iniziano già ad essere di misura. Ecco perché abbiamo ideato questo servizio, un modo per non alimentare l’inquinamento prodotto dal fast fashion. Si sono sempre utilizzati i vestiti di fratelli o sorelle e con l’area bambini di DressYouCan vogliamo rendere quest’abitudine una prassi, permettendo alle famiglie di attingere a una vasta gamma di vestiti, sempre diversi, assecondando i gusti dei più piccoli”.

A confermare l’aumento dell’interesse per l’abbigliamento per bambini di seconda mano sono i dati pubblicati dal magazine Eco Age: le ricerche sul tema hanno registrato su eBay un aumento del 76%, mentre Bundlee, un servizio di noleggio di abbigliamento in abbonamento per bambini fino a due anni, ha aumentato il giro d’affari del 250% nell’ultimo anno. Ma non è tutto: secondo il 2021 Resale Report citato da Fashionista una mamma su due con bambini piccoli prevede di spendere di più per l’usato nei prossimi 5 anni. Al momento, il catalogo di DressYouCan conta abiti da cerimonia per bambina firmati Olvi’s, ma l’intento della startup è quello di allargare sempre di più l’offerta con nuovi modelli e stili per soddisfare tutti i gusti. Il tutto con un noleggio flessibile e che garantisca prezzi contenuti rispetto all’acquisto. Oltre allo spreco di risorse, infatti, non va dimenticato anche il peso economico che le famiglie devono sostenere per vestire il proprio pargoletto: come riportato dal Daily Mail infatti i genitori spendono in media 11mila sterline (circa 12.800 euro) per il guardaroba dei bambini.

“Noi di DressYouCan crediamo fortemente nella spinta positiva che il noleggio degli abiti può dare alla transizione ecologica del settore – aggiunge Caterina Maestro – Negli ultimi anni si sono prodotti capi destinati a non durare e si è scelto di produrre tantissimo e dare alle fiamme i materiali invenduti. Ai nostri figli dobbiamo presentare un modello diverso, abituarli a consumare in un altro modo e penso che con il fashion renting si faccia proprio questo. Siamo alla ricerca di capi che abbiano una lunga vita, che possano passare di mano in mano facendo felici donne e bambine in tutta Italia. Ogni aspetto del nostro servizio è orientato alla difesa dell’ambiente: non a caso le consegne a Milano vengono effettuate in collaborazione con TakeMyThing, un servizio di pony sharing eco-friendly. Speriamo di poter allargare ben presto questa modalità di consegna anche ad altre città dello Stivale, aprendo nuovi showroom in diverse città”.

Un pensiero avallato dalle ricerche prodotte da McKinsey, secondo cui l’industria del tessile è responsabile dell’immissione di 2,1 miliardi di tonnellate di gas serra, pari al 4% del totale a livello globale. Traducendo questi dati, si nota come il settore dell’abbigliamento inquini quanto le economie di Francia, Germania e Regno Unito messe insieme. Non solo, secondo la Ellen MacArthur Foundation il 12% delle fibre tessile prodotte ogni anno viene eliminato già nel processo di produzione, il 73% viene incenerita o gettata in discarica e solamente l’1% dei prodotti viene correttamente riciclata. Come ricorda il World Economic Forum, infine, attualmente le emissioni dell’industria del fashion sono il doppio rispetto a quelle da raggiungere entro il 2030 per rispettare gli Accordi di Parigi. Ecco perché orientarsi su nuovi modelli di consumo, che puntano sull’economia circolare, secondo gli esperti del settore è più che mai fondamentale.


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