No al green pass per i parchi divertimento

L’Associazione Parchi Permanenti Italiani, aderente a Federturismo Confindustria, esprime profonda sorpresa e rammarico in merito al provvedimento che impone l’obbligo di green pass per accedere ai parchi divertimento a partire dal 6 agosto.

Giuseppe Ira, Presidente Associazione Parchi Permanenti Italiani e di Leolandia (BG), dichiara: “Il provvedimento, condivisibile nella teoria, non è attuabile nella pratica con un termine di tempo così ravvicinato. Lo Stato rischia di discriminare il 50% dei cittadini, senza peraltro avere le risorse necessarie per garantire loro l’accesso al green pass, qualora ne facessero richiesta. Una decisione che ha ripercussioni purtroppo già evidenti e preoccupanti sulle aziende del nostro settore, a cui per l’ennesima volta è riservato un trattamento iniquo, se comparato con luoghi al chiuso come i centri commerciali. Le attività dei parchi divertimento sono soggette a rigorosi protocolli di sicurezza e si svolgono all’aperto, al pari di spiagge, giardini pubblici e ristoranti all’aperto, accessibili senza green pass. Emblematica la differenza di trattamento tra parchi acquatici e piscine all’aperto: obbligo di green pass per i primi, entrata libera per le seconde. Un altro limite è l’applicazione del green pass dai 12 anni in su: molti parchi divertimento si rivolgono proprio a teenagers e ragazzi, fasce della popolazione tra le meno vaccinate in assoluto. In Francia e in altri Paesi il pass è obbligatorio a partire da 18 anni e tanto in Gran Bretagna quanto in Germania i medici sconsigliano di vaccinare quella fascia di età”.

A poche ore dall’annuncio del governo, la maggior parte dei parchi sta già ricevendo disdette e richieste di risarcimento da parte dei clienti che avevano acquistato biglietti e abbonamenti per date successive al 5 agosto: dallo scorso anno, infatti, i parchi hanno attivato un meccanismo di prevendita per rispettare il contingentamento delle presenze ed evitare gli assembramenti alle casse.

Dopo quasi 8 mesi di chiusura forzata, le aziende hanno riaperto dal 15 giugno e stavano registrando un buon andamento, migliore rispetto allo stesso periodo del 2020: trend che ora rischia una brusca interruzione nel mese più importante della stagione e senza possibilità di recupero.

“È assurdo creare allarmismi prima di Ferragosto, senza un chiaro protocollo attuativo, e imporci l’assunzione di responsabilità che non ci competono – prosegue Ira – aggravando una condizione finanziaria già compromessa e precaria, a causa della lunga crisi e della sistematica assenza di agevolazioni alle aziende della categoria. Nel decreto sostegni bis era previsto un fondo di 20 milioni per il settore, che sono stati inspiegabilmente assegnati alle Regioni, comprese quelle che non hanno parchi: già sono pochi soldi, in più sono stati mal gestiti, con il risultato che nessuno dei nostri Associati ha ricevuto contributi”.

Il comparto è composto da circa 230 aziende tra parchi tematici, faunistici e acquatici, e nel 2019 ha generato un giro d’affari di 450 milioni di euro riferiti alla biglietteria, cifra che sale a 1 miliardo con l’indotto interno ai parchi, come la ristorazione e il merchandising, e a 2 miliardi considerando l’indotto esterno, relativo ad esempio a centri commerciali, hotel e altri servizi in prossimità dei parchi. A livello di occupazione, il settore impiega 25.000 persone tra fissi e stagionali, 60.000 con l’indotto. Nel 2019 sono stati 20 milioni i visitatori provenienti dall’Italia, a cui si aggiungono 1,5 milioni di stranieri, per un totale di 1,1 milioni di pernottamenti in hotel. Nel 2020 le aziende del comparto in media hanno registrato perdite del 75%, collocandosi a pieno titolo tra le più colpite dalla crisi: il 20% dei parchi ha rinunciato completamente all’apertura e alcune importanti realtà imprenditoriali italiane sono passate di mano a fondi di investimento stranieri.

“Abbiamo già fissato un incontro con il Ministro Garavaglia per il 6 agosto – conclude Ira – perché la discriminazione del governo nei nostri confronti è diventata inaccettabile: le istituzioni devono rendersi conto che sono in gioco migliaia di posti di lavoro e la sopravvivenza stessa di molte imprese”.


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