Il 30% dei bambini soffre di un disturbo del sonno

Nei primi 3 anni di vita quasi il 30% dei bambini presenta un disturbo del sonno e questa percentuale scende al 15% dopo i 3 anni.

“Il sonno è di importanza fondamentale per la salute in generale – afferma il prof. Luigi Ferini Strambi, ordinario di Neurologia, Ospedale San Raffaele di Milano – per l’efficienza del sistema immunitario, per le corrette funzioni organiche e per il benessere quotidiano. La sua mancanza, infatti, oltre ad interferire con i processi di crescita e ridurre le difese immunitarie, produce effetti negativi sulla concentrazione, sulla capacità di decisione e sull’efficienza”.

Tra i principali disturbi del sonno in età pediatrica, rivestono un ruolo importante i Disturbi respiratori notturni (DRS): un terzo dei bambini di età compresa tra 2 e 6 anni presenta russamento occasionale, mentre il 15% russa abitualmente e il 2-5% ha una sindrome delle apnee morfeiche ostruttive. Bisogna distinguere tre diversi fenotipi dei bambini con DRS: fenotipo comune (ipertrofia tonsillare), fenotipo adulto (obesità), fenotipo con anomalie cranio-facciali (micrognazia). Se nell’adulto con DRS la sonnolenza diurna è un sintomo cardine, nel bambino si osserva soprattutto ipercinesia diurna, mentre la sonnolenza è presente solo nel 20% dei casi.

Anche il sonnambulismo è frequente: ne soffre il 12-13% dei bambini intorno ai nove-dieci anni e il 6-7% dai sei agli otto anni. L’episodio sonnambulico si verifica in genere nella prima parte del sonno. Se gli episodi avvengono dopo 3-4 ore dall’inizio del sonno o si ripetono più volte nel corso della stessa notte, è indicato uno studio polisonnografico notturno per escludere, ad esempio, una epilessia del lobo notturno frontale.

Quando il problema riguarda l’addormentamento potrebbe trattarsi di Restless Legs Syndrome (RLS): la prevalenza di RLS nella popolazione tra 5 e 17 anni è intorno al 2%. La sintomatologia compare tipicamente a riposo, si attenua con il movimento e si manifesta o si aggrava nelle ore serali e nella prima parte della notte, interferendo con il processo di addormentamento e generando insonnia. I soggetti affetti presentano un’intensa irrequietezza motoria che li costringe a continui movimenti delle gambe o ad alzarsi dal letto e camminare.

Più rara, invece, è la narcolessia, la cui prevalenza è di 2-5 casi ogni 10.000 abitanti. I sintomi che devono far sospettare la diagnosi sono la sonnolenza diurna (non il semplice affaticamento) e gli attacchi cataplettici. Nel bambino narcolettico, la sonnolenza è un sintomo più costante nel corso della giornata. Gli attacchi cataplettici si verificano in concomitanza con una forte emozione e durano da pochi secondi a mezz’ora; sono caratterizzati da un’improvvisa diminuzione o perdita del tono muscolare, sia totale, con caduta del paziente, sia parziale con un’atonia dei soli muscoli della faccia e del collo, con incapacità a parlare, diplopia, abbassamento della mandibola e piegamento del capo in avanti.

 

“Dal secondo anno di vita, il sonno rappresenta uno stato diverso dalla veglia e non più una fase in cui si cade solo per stanchezza – interviene la prof.ssa Susanna Esposito, presidente del Congresso, ordinario di pediatria all’Università degli Studi di Perugia e presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, WAidid. Il sonno a questa età può suscitare ansia e angoscia poiché determina la separazione dall’ambiente e dalla persone conosciute. Il bambino deve essere, quindi, accompagnato dai genitori in questa fase mediante la messa in atto di alcuni rituali come ad esempio lavarsi i denti, mettere il pigiama, leggere o raccontare una fiaba. Queste semplici azioni, ripetute ogni sera, aiutano a segnalare l’avvicinarsi del momento di andare a letto e tranquillizzano il bambino che si appresta ad affrontare la fase del sonno”.

 

Non solo disturbi del sonno ma anche altri disturbi neurologici come il deficit di attenzione e iperattività e i tic, al centro del dibattito durante la sessione sulle novità in neurologia pediatrica al Congresso di Antibioticoterapia.

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI), disturbo del neurosviluppo, caratterizzato da deficit di attenzione, iperattività e impulsività, è stato presentato dal prof. Alessandro Albizzati, neuropsichiatra infantile. La prevalenza di tale disturbo nei bambini è pari al 3-4%, si presenta in concomitanza con disturbi del comportamento, quali il disturbo oppositivo provocatorio e della condotta, stati d’ansia e alterazioni dell’umore. Ecco, quindi, che il trattamento per DDAI si basa su un approccio multimodale che comprende interventi psicoeducativi, parent-teacher-child-training e la terapia farmacologica.

Lo studio sui tic, infine, è stato presentato dal prof. Nardo Nardocci, direttore dell’unità di neuropsichiatria infantile dell’Istituto “Carlo Besta” di Milano. I tic rappresentano uno dei disturbi del movimento più frequenti nel bambino. Il tic si definisce come un movimento rapido e improvviso (tic motorio) o una emissione di suoni prodotti dal passaggio di aria attraverso il naso, bocca o gola (tic vocale). Lo spettro clinico, oltre alla sindrome di tic transitori che è la più frequente, include quella dei tic cronici e la sindrome di Tourette che nella maggioranza dei casi si accompagna a disturbi da deficit di attenzione e iperattività e disturbi ossessivo-compulsivi. Recenti studi hanno evidenziato, inoltre, la possibilità che l’infezione da streptococco Beta emolitico possa avere un ruolo nell’eziopatogenesi dei tic, ma saranno necessari ancora nuovi studi per giungere a conclusioni definitive.


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