A 5 anni dal celebre “whatever it takes” di Draghi, la politica monetaria cambia verso

A cura di Richard Flax, Chief investment Officer di Moneyfarm

 

  • Dopo 5 anni di politica monetaria espansiva, i segnali arrivati dalla banca centrale hanno determinato un’impennata dei tassi sovrani in tutti i paesi dell’area Euro. Il rally dell’Euro ai danni della valuta statunitense (+7% nel secondo trimestre), che sarà sicuramente uno dei temi centrali della seconda metà del 2017, è però iniziato ben prima delle mosse di Draghi ed è quindi solo parzialmente collegato alle decisioni politiche delle banche centrali. La politica monetaria, infatti, non è l’unico driver del cambio di tasso in questo momento.

Quando gli storici e gli economisti apriranno il dibattito sulla crisi che ha colpito l’Eurozona faranno probabilmente fatica a inserire degli eroi nella loro narrativa: l’Europa non avrà il suo Franklin D. Roosevelt, protagonista del racconto nazionale americano del dopoguerra. Forse non è neanche un male, perché la politica non è il luogo degli eroi e dei campioni ma piuttosto il regno delle contraddizioni.

 

Se però si dovrà citare una data che ha segnato il punto di svolta del rapporto tra la politica e la crisi, questo giorno sarà senz’altro il 26 luglio del 2012. Allora Mario Draghi, durante la conferenza stampa che usualmente segue il Consiglio Direttivo della Bce, scelse parole forti e nette: “Nei limiti del nostro mandato non lasceremo nulla di intentato per salvare l’Euro, e credetemi, ciò che faremo sarà abbastanza.”

Quando Draghi pronunciò il suo famoso discorso, l’equilibrio finanziario dell’Eurozona era traballante e in molti avevano cominciato a pensare che la moneta unica fosse ormai un progetto destinato al fallimento. Quella drammatica estate, in cui lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi aveva superato quota 500 punti, segnò l’inizio della politica espansiva della Banca Centrale Europea attraverso misure non convenzionali. Dopo un quinquennio di espansione monetaria siamo davvero vicini al giro di boa.

Mario Draghi, durante l’annuale conferenza di Sintra, si è detto contento dello stato della ripresa dell’Eurozona e del progredire delle riforme. Il discorso, che è stato interpretato come un annuncio restrittivo, ha anticipato la pubblicazione dei minutes della riunione del Consiglio della Bce (avvenuta giovedì). Durante l’assemblea si è discusso dell’opportunità di eliminare dalla posizione politica ufficiale della banca il cosiddetto “easing bias”.

Si tratta della precisazione, che viene riaffermata in ogni occasione ufficiale, che la banca centrale è pronta a estendere il piano di acquisto di obbligazioni oltre la data prevista qualora si presentasse la necessità. Questi segnali suggeriscono un prossimo inizio del “tapering”, la chiusura dei rubinetti che arriva dopo segnali affini da parte di altre principali banche centrali.

Una settimana di dati macro positivi

Dopo 5 anni di politica monetaria espansiva, l’economia europea sembra finalmente essersi rimessa in moto (e si potrebbe argomentare che gran parte del merito è proprio dell’azione politica della Bce). La fiducia delle imprese è ai massimi della storia recente. Proprio questa settimana è stato annunciato che l’indice PMI (che misura la fiducia delle imprese) ha toccato il suo picco degli ultimi 5 anni. L’industria tedesca, la locomotiva pulsante della crescita europea, ha fatto segnare a maggio il migliore risultato mese su mese dal 2010. Sempre a maggio i consumi dell’area Euro sono saliti più del previsto. La Commissione ha rivisto a rialzo le previsioni di crescita all’1,7% (con le previsioni più ottimistiche che addirittura la collocano vicino al 2%).

 

I segnali arrivati dalla banca centrale hanno determinato un’impennata dei tassi sovrani in tutti i paesi dell’area Euro. Il trend è iniziato in seguito al discorso di Sintra ed è continuato in maniera più decisa dopo la pubblicazione dei minutes. L’ondata di vendite sui bond sovrani europei si inserisce in un contesto nel quale la moneta unica si è rafforzata con decisione nei confronti del dollaro. Il rally dell’Euro ai danni della valuta statunitense (+7% nel secondo trimestre) è però iniziato ben prima delle mosse di Draghi ed è quindi solo parzialmente collegato alle decisioni politiche delle banche centrali. Come si può vedere nel grafico qui sotto il cambio euro/dollaro da fine aprile ha smesso di essere correlato con lo spread tra i Bund tedeschi e i Bond del tesoro americani a due anni. Quest’ultimo rapporto è influenzato molto fortemente dalle Banche Centrali. Se fino ad aprile era stato un buon indicatore del tasso di cambio, a un certo punto questa relazione si è rotta. Questo vuol dire che la politica monetaria non è l’unico driver del cambio di tasso in questo momento.

Il prezzo di Euro e Dollaro sarà sicuramente uno dei temi centrali della seconda metà del 2017. Il nuovo posizionamento è probabilmente sintomo del rinnovato clima di fiducia all’interno dell’Eurozona. Nei prossimi mesi quindi, oltre alle mosse delle banche centrali, anche la capacità di Trump di mettere in atto il suo ambizioso programma elettorale e la consistenza delle riforme e della dinamica dell’inflazione all’interno dell’Eurozona avranno un peso importante nel determinare il cambio.


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