La nuova moda dei manager e il “capsule clothing”

L’abbigliamento ha davvero influenza sulla produttività e sul successo? Oggi i grandi leader d’azienda si vestono con felpa e cappuccio, con le t-shirt o al massimo le polo. I nuovi manager, come il Ceo di Facebook, seguono il cosiddetto “capsule clothing”, ovvero vestirsi sempre con gli stessi vestiti o modelli.

Il celebre libro ‘Dress for Success’ scritto da John T. Molloy nel 1975 sostiene che nell’ambiente di lavoro sia necessario vestirsi in abiti formali, non solo per una questione di decoro, ma anche perché più l’abito rispecchia la nostra professionalità, più sarà facile avere successo.

Oggi, a più di 30 anni di distanza, è ancora così?

Una ricerca della Yale School of Management pubblicata nel 2014 sembrerebbe confermarlo: vestirsi in maniera “professionale” aumenterebbe la concentrazione e la sicurezza, accrescendo così la performance di lavoro. Secondo la dottoressa Karen Pine, professoressa di psicologia alla University of Hertfordshire e fashion psychologist, “Quando si indossa un capo di abbigliamento solitamente si adottano le caratteristiche ad esso associate. Gran parte dei nostri vestiti ha un significato simbolico: che si tratti di abbigliamento professionale o abbigliamento da weekend, quando lo indossiamo, induciamo il cervello a comportarsi in modo coerente con quel significato.”

Tuttavia, come ricorda la dottoressa Jennifer Baumgartner, psicologa e autrice del libro You Are What You Wear: What Your Clothes Reveal About You (Sei ciò che indossi: cosa rivelano di te i tuoi vestiti): “tutti gli studi in materia sono basati sulle dichiarazioni degli stessi lavoratori. Non esiste nessuno studio scientifico assoluto che dimostri che l’abbigliamento abbia realmente un impatto sulla produttività e sul successo.”

Lo dimostrano casi di successo come Mark Zuckerberg, il Presidente americano Obama, Christopher Nolan, Diane Keaton, Albert Einstein. Queste persone non solo hanno l’abitudine di vestirsi in modo casual sul lavoro: il loro abbigliamento segue il cosiddetto “capsule clothing”, ovvero vestirsi sempre con gli stessi vestiti o modelli. Una moda che si è ormai diffusa rapidamente tra i piani alti delle grandi società americane e non solo – tanto che Peter Thiel, uno dei maggiori investitori della Silicon Valley, ha introdotto una nuova regola: mai investire in un CEO che indossa un abito formale.

Addio ai capi firmati e ai classici vestiti indossati dai manager, alle giacche, ai look impomatati: oggi i grandi leader d’azienda si vestono con felpa e cappuccio, con le t-shirt o al massimo le polo. Alle conferenze e ai più importanti meeting legati al business, le generazioni dei Murdoch e Buffett devono fare la fila per parlare con i nuovi sovrani di internet, capitanati da Zuckerberg e dagli altri giovani rampanti e un po’ nerd dei social network.

Una spiegazione molto convincente per vestirsi casual sul lavoro l’ha fornita niente di meno che il presidente Obama in un’intervista per Vanity Fair: “Sto cercando di alleggerire le decisioni. Non voglio prendere decisioni su quello che mangio o indosso. Perché ho troppe altre decisioni da prendere.” Meno scelte significa meno stress, risparmio di tempo ed energie, da dedicare a ciò che è davvero importante. Anche Albert Einstein si vestiva sempre con varie versioni dello stesso abito grigio perché non voleva sprecare energie intellettuali per un’attività banale come scegliere il proprio outfit ogni mattina.

Come sottolinea Forbes, per altri, come Steve Jobs, il look è un marchio distintivo che li rende più riconoscibili agli occhi del pubblico: “la coerenza è ciò che crea un marchio… uomini d’affari e politici famosi sono noti per essere coerenti anche nel vestirsi, è la loro brand identity.”

A ben vedere, in un mondo del lavoro che sta diventando sempre più fluido, in cui la soggettività, l’individualità e la flessibilità prendono il sopravvento sulla schematizzazione e uniformità dei comportamenti e degli ambienti, applicare regole ferree sull’abbigliamento da ufficio perde effettivamente di senso.

Le aziende, anche quelle italiane – bel il 30% secondo il Rapporto dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano – ricorrono sempre più spesso al lavoro da remoto, anche il lavoro autonomo è incrementato esponenzialmente e la linea di separazione tra la sfera privata e quella lavorativa è sempre meno netta. Nascono nuovi modelli di fruizione del lavoro come quello del Worksumer – professionista creativo al passo coi tempi, che usufruisce dei nuovi luoghi dedicati allo smart working in modo “liquido” in termini di spazio, tempo ed esigenze di consumo.

Per questo oggi si predilige il benessere del lavoratore, più che il suo aspetto formale: in questo modo sarà più facile per lui/lei concentrarsi e sentirsi a propri agio, e di conseguenza, essere più produttivo e creativo.

A meno di un mese dalla fashion week milanese che si terrà dal 21 al 27 settembre, non possiamo non chiederci se la nuova tendenza casual del lavoratore moderno verrà accolta e confermata anche tra le file dell’alta moda.

da COPERNICO RADAR
L’osservatorio smart di COPERNICO – Where Things Happen sul mondo del lavoro, nuove tendenze e lifestyle


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