Quando la governance conta: il caso Volkswagen

Si è parlato molto dello scandalo Volskwagen che ha causato ripercussioni su tutto il settore e minato la fiducia nelle imprese europee e nel loro modello di governance.

L’aver installato nei motori diesel, durate i test, un software atto a monitorare e regolare il funzionamento del motore così da ottenere una sorta di “modalità provvisoria”, grazie alla quale il motore funziona al di sotto della velocità e della potenza normale, sembra aver scoperchiato il vaso di pandora.

Come è possibile che un organizzazione così grande e di tale importanza possa commettere un così grave errore di giudizio?

Le ragioni commerciali.

Per quanto ancora non si conoscano i responsabili della frode, sono numerose le voci che si rincorrono sulle ragioni di tale scelta da parte del management.

Una cosa è sicura: Volkswagen ha spinto molto sui motori diesel e soprattutto nel mercato statunitense ha speso parecchio per rendere appealing questo tipo di motore ai consumatori americani. La tecnologia diesel utilizza il carburante in modo più efficiente, risparmiando le emissioni di anidride carbonica; ma tale vantaggio è raggiunto bruciando il combustibile a temperatura più alta e, di conseguenza, emettendo nell’atmosfera una quantità di ossidi di azoto più dannosi per lo smog e il verde cittadino.

Per questo negli Usa gli standard su questo secondo tipo di emissioni (ossidi di azoto) sono molto più elevati che in Europa, dove ci si concentra per lo più sull’impatto ambientale a livello globale.

Volkswagen non è riuscita a sviluppare (per mancanza di capacità o, più probabilmente di investimenti) una tecnologia in grado di contenere questo effetto e pertanto ha trovato il modo di aggirare il problema.

Sebbene a livello di prezzo il marchio Volkswagen sia a premio rispetto ai concorrenti, quando si guardano i profitti, si nota come i margini siano incredibilmente più contenuti perciò per espandersi l’unica via percorribile era quella di aumentare le quote di mercato in America.

Le responsabilità della governance.

A prescindere dalle ragioni commerciali, è sfuggito a molti che in fondo c’è stato – e vedendo le prime reazioni della casa automobilistica c’è tutt’ora – un problema di governance da parte del management della società. Già prima dello scandalo, Volkswagen era prezzata al di sotto dei propri concorrenti: nella classifica stilata da MSCI sugli standard di corporate governance, la casa tedesca si collocava nella parte più bassa.

Alcuni investitori istituzionali fanno notare è che nel board manca l’eterogeneità in termini di profili geografici, professionali e caratteriali.

Su 20 membri del consiglio di amministrazione, 17 provengono dalla Germania o dall’Austria. La maggior parte di loro è rappresentante degli azionisti più importanti, ossia le famiglie Piëche e Porsche, lo Stato di Bassa Sassonia e il Qatar, mentre gli azionisti privati hanno rappresentanza quasi nulla.

La verità purtroppo è che il concetto di “public company” non ha realmente ancora permeato la cultura europea. La cultura aziendale è sempre stata negli ultimi anni impostata a coprire i problemi e accentrare le decisioni, tenendo in poca considerazione le opinioni discordanti e la creazione di valore nel lungo periodo.

I segnali di allarme.

Che sulle emissioni le procedure non fossero trasparenti al 100% era abbastanza chiaro da diverso tempo. Il governo tedesco aveva ammesso a inizio gennaio di essere a conoscenza del fatto che i test potevano essere manipolati.

In California nel 2014 erano stati fatti dei test da alcune associazioni indipendenti sulle macchine Volkswagen proprio per dimostrare che i motori erano estremamente ecologici. Ma quando gli esiti dei test mostrarono come le emissioni fossero ben al di sopra di quanto dichiarato, la casa tedesca si scusò adducendo a generiche ragioni tecniche.

Infine, è da tempo che chi monitora le emissioni in Europa continua a sostenere che la quantità di anidride carbonica misurata nell’atmosfera è il 40% più alta di quanto dovrebbe essere secondo le dichiarazioni delle compagnie produttrici.

Gli effetti.

Tutto ciò potrebbe aprire la strada all’inquietante scenario “lo fanno tutti…quindi”.

Ma finora le altre case automobilistiche hanno negato di aver intrapreso pratiche simili esprimendo al contempo preoccupazione per il fatto che questo possa implicare un ripensamento generale del motore diesel, vanificando anni di spese ingenti per ricerca e sviluppo e mettendo a rischio l’industria automobilistica europea.

L’impatto per il settore automotive può essere devastante.

Quello su cui tutti sono d’accordo è che i test europei, così come sono strutturati, non hanno più modo di esistere e vanno ripensati profondamente.

A nostro avviso, questa vicenda dovrebbe portare ad una revisione della governance e ad una maggior consapevolezza che le società europee sono penalizzate oggi (e giustamente a questo punto) da una governance tendenzialmente inefficace che non permette alle organizzazioni di manifestare il loro vero potenziale.

L’impatto sui mercati.

Per Volkswagen, le conseguenze sono ancora tutte da valutare. La casa ha annunciato di aver accantonato 6,5 miliardi di euro per le spese dovute allo scandalo.

Le prime dichiarazioni parlavano di 11 milioni di veicoli a rischio e tra costi operativi, danno d’immagine, multe dai regolatori, spese legali e class action la cifra accantonata sembra decisamente inadeguata.

L’unica certezza, è che paradossalmente non è ancora possibile quantificare nulla.

Le spese legali saranno sicuramente dolorose, ma i danni operativi saranno ancora più gravi. Tolto l’accantonamento di 6,5 miliardi di euro annunciato, la casa dispone ancora di circa 13 miliardi di disponibilità liquidi, più altri asset facilmente liquidabili.

Dal punto di vista operativo, lo scandalo può compromettere l’attività dell’azienda per diversi anni a venire principalmente per tre motivi:

· La società ha perso la fiducia dei consumatori e degli investitori; ci vorranno diversi anni per riuscire a recuperarla e nel mentre VW perderà certamente quote di mercato;

· in termini di prezzi, lo scandalo probabilmente abbatterà il premio che il marchio Volkswagen aveva rispetto ai concorrenti;

· le spese di ricerca e sviluppo per rendere i motori diesel al passo con la normativa abbasseranno i margini dei produttori di automobili.

Questi effetti sono già stati largamente scontati dal mercato: come si evince dal grafico sotto, il titolo azionario ha perso più di un terzo del proprio valore, perdendo 33 miliardi di capitalizzazione.
E i CDS, che riflettono la probabilità di default della società, sono esplosi, salendo di ben 226 punti base.

(da MoneyFarm.com)


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